Giovani del nuovo millennio

01.05.2024

di don Salvatore Rinaldi e Chiara Franchitti

I giovani degli anni Sessanta sono stati etichettati come i giovani delle «tre emme»: moglie/marito, macchina e mestiere. Gli anni di sviluppo economico consentivano un ingresso nel mondo del lavoro che apriva alla realizzazione di un progetto esistenziale caratterizzato dalla possibilità di acquistare, con i risparmi messi da parte, una moto o un'auto e poi di sposarsi, cioè «metter su famiglia» e magari acquistare una casa dove andare ad abitare, sia pure sostenendo un mutuo che comportava sacrifici. I giovani del Sessantotto sono ancora quelli delle «tre emme»: Marx, Mao, Marcuse. 

Attraverso la contestazione studentesca, esprimono il desiderio profondo di voler cambiare la scuola e più in generale la società, l'esigenza di maggior libertà in tutti i campi, il rifiuto della sottomissione, il bisogno di autonomia, indipendenza, protagonismo. Sono gli anni in cui i giovani occupano le università, rivendicano gli spazi, nei quali poter essere protagonisti, delle proprie scelte operate in autonomia, se non in esplicita opposizione alle varie forme di autoritarismo esercitato dagli adulti. Sognano di rivoluzionare il mondo in senso più umano, seguendo i grandi ideali: pace, giustizia, lotta contro qualsiasi forma di schiavitù o sottomissione al potere. La dimensione solidaristica, proiettati su orizzonti internazionali li porta ad un impegno finalizzato a trasformare le strutture sociali e politiche. 

A questo appassionato entusiasmo rivoluzionario collettivo, segue un periodo, parlando degli anni settanta, caratterizzato dalla ricerca individuale, che porta i giovani a ritirarsi dalla scena politica per rifugiarsi all'interno delle pareti domestiche, ripiegandosi su una dimensione individuale. Vanno in crisi varie esperienze associative, soprattutto quelle di ispirazione politica, vale a dire movimenti e federazioni giovanili collegate ai partiti, probabilmente perché non sono in grado di farsi carico delle esigenze più profonde dei giovani, soprattutto a livello di partecipazione. I giovani degli anni ottanta si presentano come una realtà complessa, non facilmente interpretabile e sulla quale indagano numerose ricerche sociologiche, che offrono contributi su aspetti e sfaccettature particolari, ma difficilmente riconducibili ad una visione unitaria. Non sembrano più costituire un problema per la società, né una potenziale forza di cambiamento, costretti come sono a vivere in un mondo sommerso. 

Negli anni Novanta i giovani paiono avere scarsa capacità di progettazione del futuro, eppure nello stesso tempo sono disponibili a provare molteplici esperienze, anche se con l'obiettivo di non precludersi alcuna opportunità, quasi nel desiderio di sperimentarle tutte, rincorrendole di qualsiasi tipo esse siano, senza nessuna esclusione, perché ritenute tutte interessanti. La dilatazione di possibilità di esperienze accresce la fatica personale di elaborare progetti realizzabili e verificabili: sembra quasi che di fronte alle numerosissime occasioni, il singolo non voglia rinunciare a nulla, diversamente da quanto può inevitabilmente comportare una scelta. Anzi, diventa sempre più difficile maturare scelte definitive, che vengono procrastinate quanto più possibile, privilegiando quelle che paiono reversibili. Del resto, l'incertezza, l'instabilità, l'insicurezza portano a relativizzare tutto. 

Nel Terzo Millennio i giovani sono aperti ad una dimensione internazionale, grazie alla possibilità di viaggiare, di soggiornare all'estero anche per motivi di studio, nonché a più fragili collegamenti e strumenti di comunicazione. Sono i giovani in grado di cogliere quegli spazi loro concessi dove sanno svolgere attività lavorative, pur di poter sperimentare una certa autonomia e non solo economica, ma sono capaci di inserirsi in modo creativo nel mondo professionale, intercettando nuovi bisogni, inventandosi i nuovi mestieri. Continuano ad impegnarsi con grande generosità in situazioni di bisogno. Ne sono un esempio i giovani accorsi numerosi in aiuto dei terremotati in Abruzzo nel 2009. Senza che nessuno li chiami, con il semplice "tam tam" via sms, Facebook, si prestano, si rendono utili, si mettono a lavorare sporcandosi le mani, là dove c'è urgente necessità. 

I giovani oggi sono figli di genitori che sono stati educati alla fede cristiana, ma che poi si sono fatti altre divinità. Ciò ricade in modo pericoloso sui giovani di oggi, bombardati da messaggi contraddittori, che non consentono di riconoscere il bene ed il male, di distinguere il buono dal cattivo, ciò che può portare alla vita e cosa invece alla morte, cosa li può portare a raggiungere la felicità e ciò che li può spingere a cadere nel baratro. I giovani sembrano allergici nei confronti di una religiosità imposta, che di rado incide sulle scelte ed i comportamenti quotidiani, mentre sono disponibili a riscoprirla in termini più soggettivi. Quando l'educatore riesce ad entrare in sintonia, una volta che a trovato la password di accesso per parlare il loro linguaggio, esprimono il desiderio sincero di cercare i fondamentali riferimenti, di trovare qualcosa di importante, decisivo, che vale e conta per la loro vita, che vogliono vivere «alla grande», «in grande»: sono disposti a spendersi per realizzare qualcosa di veramente bello significativo. 

Oggi c'è urgente necessità di adulti che sappiano essere non tanto maestri, ma compagni di viaggio disposti ad ascoltare e leggere quelle domande che costituiscono l'inquietudine del cuore, che svelano la sete di verità e di amore, educatori che sappiano intercettare quel bisogno di Dio a volte nascosto, ma comunque presente. Oggi si tratta di sollecitare i giovani a prendere in mano la propria vita per decidere che vogliono essere, chi vogliono diventare. Una modalità può essere quella di far emergere gli interrogativi, «scavando» nell'umanità di ciascuno, stimolando domande di senso per arrivare a far scoprire ed a far sperimentare che la prospettiva cristiana è un grande «sì» alla vita, che un'autentica vita cristiana consente la realizzazione piena dell'uomo e della donna, è un'occasione per l'adulto di assumersi la responsabilità educativa. Gli è chiesta passione, perché i giovani «annusano» da lontano se nemmeno lui crede nella proposta che va loro rivolgendo; ci vuole, inoltre, la capacità di suscitare tensioni ideali, motivate e non imposte, pena reazioni di rifiuto e di opposizione. All'educatore è domandato di farsi compagno di strada, e non più di mettersi davanti a loro, quasi sfidandoli. 

©Produzione riservata

Segui la nostra informazione anche su Facebook o unendoti al nostro gruppo WhatsApp e visita il nostro canale Youtube