8 Marzo. "Se potessi scrivere a mio padre gli direi..."

06.03.2024

di Vera Mocella

L'otto marzo non è più la festa delle donne intesa come ricorrenza dedicata ad un evento che ha visto, come protagoniste, le donne stesse. È una ricorrenza che si è come deteriorata, intristita e deformata nel tempo, divenendo una festa meramente consumistica, in cui il dictat assoluto è quello di divertirsi e di svagarsi, a volte nella più assoluta incoscienza e smemoratezza dei problemi urgenti, concreti, drammatici che pure premono sulla nostra realtà. 

La prima Giornata Nazionale della donna venne celebrata il 28 febbraio 1909, negli Stati Uniti, per iniziativa del Partito Socialista Americano, che scelse questa data in memoria dello sciopero di migliaia di camiciaie newyorkesi che, l'anno prima, avevano rivendicato migliori condizioni di lavoro. L'anno seguente, la ricorrenza venne introdotta anche in Europa, sotto l'impulso dell'Internazionale Socialista che, durante lo svolgimento del congresso di Copenhagen, decise di istituire la Giornata internazionale della donna, per promuoverne i loro diritti e per sostenere la campagna in favore del suffragio universale. Austria, Danimarca, Germania e Svizzera, nel 1911, furono i Primi Paesi a celebrare la giornata dedicata al genere femminile. 

Nel Nostro Paese, invece, questa ricorrenza sarà istituita solo il 22 marzo 1922. Nel 1914, si celebrò, per la prima volta, la festa della donna l'8 marzo. Esattamente tre anni dopo, a San Pietroburgo, le donne protestarono per chiedere la fine della guerra: fu quella una delle prime manifestazioni della cosiddetta "rivoluzione di febbraio", seguita, quattro giorni dopo, dalla caduta dello zar. Il governo provvisorio che nacque, concesse alle donne il diritto di voto. Fu Vladimir Lenin a istituire l'8 marzo come festività ufficiale. Secondo la tradizione e la "vulgata" giunta fino a noi, la nascita della festa della donna sarebbe stata istituita per ricordare un incendio che uccise centinaia di operaie, in una fabbrica di camicie, a New York, l'8 marzo 1909. In realtà, il pauroso e terribile incendio che provocò 140 vittime, avvenne il 25 marzo 1911. Secondo altre fonti, invece, la Giornata dedicata alle donne sarebbe stata istituita per ricordare la dura repressione di una manifestazione sindacale di operaie tessili, avvenuta a New York, nel 1857. 

Quale sia la genesi reale della giornata in rosa, essa voleva essere, almeno agli albori, un momento per riflettere contro i soprusi, le discriminazioni e le violenze perpetrate contro il genere femminile, non una stucchevole giornata che stride con il devastante panorama storico e socio – culturale europeo ed internazionale. Per questo, assume un rilievo ancora più prezioso un testo come quello presentato, nei giorni scorsi, dalla Casa internazionale delle Donne, dall'emblematico titolo: " Corpo nero", edito da Fandango. Dopo il debutto con il suo primo spettacolo teatrale "If There Is No Sun", Anna Maria Gehnyei si cimenta con la scrittura in un suggestivo libro, in cui racconta il mondo dei ragazzi di seconda generazione, nati in Italia da genitori non italiani, o arrivati qui da piccolissimi. Come afferma la scrittrice: «Il razzismo, in Italia, è un tabù, di cui nessuno parlava, ma di cui tutti conoscevano l'esistenza. Combattere il razzismo significa combattere se stessi. Non credo più nella lotta ma nell'integrazione e nel riconoscimento del razzismo come la parte più oscura dell'uomo». 

Anna Maria Gehnyei, conosciuta in arte come Karima 2G, è anche una cantante, danzatrice di origine liberiana, premiata, per il suo percorso artistico, con una borsa di studio internazionale dalla "John Cabot University" e laureatasi, nel 2020, in "Communications e Political Science". Scrive "il Libraio": «Come scopriamo fra le pagine, suo padre è stato il primo uomo Kpelle, a cui i capi del villaggio hanno permesso di allontanarsi, il primo Kpelle ad arrivare in Europa. E nonostante la Liberia fosse "la terra dei Liberi", ovvero gli schiavi afroamericani tornati in Africa, i suoi genitori le insegnano ad avere un amore incondizionato verso i bianchi. Che per lei si incarnano nei bambini privilegiati di Roma Nord che non la considerano, nelle maestre della scuola che la lasciano sempre in banco con la gemella, nei datori di lavoro che si stupiscono del suo italiano, nei poliziotti che a ogni rinnovo del permesso di soggiorno, ripetono le stesse domande. Mentre tutto quello che sa della Liberia, sono le storie che sua madre le ha raccontato da piccola. Non conoscendo le fiabe europee, infatti, le racconta i giorni della sua infanzia, le descrive la sua terra magica, ricca di risorse, e i rituali nascosti del villaggio del padre. 

La Liberia e l'Africa sono tutti gli zii che frequentano la sua casa, e i parenti che non ha mai conosciuto, la sua famiglia lontana. Ovunque lei vada, da sola o con le sue sorelle, qualunque età lei abbia, a Roma c'è sempre qualcosa o qualcuno che le ricorda di essere nera, motivo per cui si trova a negoziare continuamente tra due realtà culturali: quella italiana che non l'accetta, e quella africana a cui non appartiene fino in fondo». Un mondo ostile, quello in cui si imbatterà la protagonista, segnato dal rasoio affilato del pregiudizio e del razzismo, un mondo in cui il suo "corpo nero" è additato e circoscritto, vulnerabile alle parole e alle offese. Così "Corpo nero" diventa il testo emblematico e corrosivo degli immigrati di seconda generazione, di chi ha vissuto, fin da piccolo, sulla propria pelle, inciso sul suo stesso corpo, il razzismo di una società incapace di liberarsi, sino in fondo, da ataviche paure e da retaggi ancestrali.

Proponiamo uno stralcio del testo, dove la scrittrice si rivolge al padre, cercando di infrangere il muro di omertà, creato dagli steccati di una cultura maschilista ed afasica. «Se potessi scrivere una lettera a mio padre, gli direi tutto ciò che mi sono tenuta dentro fino a oggi, e gli porrei le domande che non ho mai potuto fargli, perché certe cose io non posso saperle. Se potessi, gli direi che la sua rigidità mi ha sempre messo paura, ma soprattutto mi ha tenuta a distanza. Quelle cicatrici sulla sua pelle, solchi perfettamente disegnati su cui non ho mai potuto posare il mio dito di bambina, sono il mistero che non mi è dato di svelare. Papà, gli direi, il tuo sguardo mi blocca e il tuo silenzio è un muro tra te e me, che tu hai costruito perché io non potessi nemmeno guardare quel tuo corpo scolpito come la statua di un eroe deturpato da chissà quale pratica del suo villaggio. Gli uomini hanno misteri che le donne non possono conoscere, non si può mancare di rispetto alle tradizioni. Papà, io so che la tua compostezza viene da lì, è accaduto qualcosa al tuo corpo che ha segnato cicatrici anche nella tua anima e tu ti tieni tutto dentro, perché nessuno ti ha insegnato che se ne può parlare, né te lo ha mai concesso».  

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