A chi ci ruba il futuro con i sorrisi e le promesse

15.11.2025

di Mario Garofalo

C'è un'Italia che cammina scalza sull'asfalto bollente della burocrazia. È l'Italia dei precari della scuola, quella che studia, insegna, si forma, paga, ripaga, e resta sempre ferma allo stesso punto. Ci dicono "formazione", "merito", "opportunità". Parole lucide come vetro, taglienti come lame.

Ogni abilitazione è un biglietto pagato a caro prezzo per un viaggio che finisce dove è cominciato. Ogni corso da duemila euro serve solo a ingrassare chi comanda, chi gioca con le nostre vite come fossero figurine. C'è chi parte dal Sud per andare al Nord, chi lascia i figli in Campania per lavorare in Toscana, chi prende treni, pullman, stanze in affitto. Tutto per un concorso che si ripete come un disco rotto, con le stesse domande, con le stesse commissioni, con lo stesso finale: "riprovate ancora".

Loro parlano di riforme, di modernità, di futuro. Noi vediamo solo sacrifici, assenze, famiglie divise, stipendi bruciati. Parlano da dietro scrivanie lucide, lontani dai corridoi delle scuole, dai volti dei bambini, dai sacrifici di chi resiste ogni giorno.

Questo Paese ha paura della dignità. Perché un lavoratore stabile pensa, sceglie, alza la voce. Il precario invece tace, accetta, aspetta. È questo che vogliono: un popolo che vive con la testa bassa e il portafoglio vuoto.

Però noi siamo vivi, siamo tanti, siamo stanchi di inchinarci. Vogliamo una scuola giusta, vogliamo un lavoro vero, vogliamo rispetto. Basta con la favola del merito, basta con la truffa dei corsi che servono solo a far cassa.

Chi governa deve guardare in faccia chi insegna, chi cresce i figli degli altri mentre non può vedere i propri. Deve ascoltare chi si sveglia alle quattro per andare a fare l'ennesimo concorso a mille chilometri da casa.

La nostra voce arriva da piazze, da aule, da case umili. È la voce di chi ha scelto la scuola per cambiare il mondo e ora chiede solo di non essere buttato ai margini.

Peppino diceva che la mafia uccide anche col silenzio. Pure l'ingiustizia fa lo stesso: ti toglie la speranza a piccoli pezzi. Per questo bisogna gridare, denunciare, resistere.

Finché l'Italia del merito tornerà a essere l'Italia del diritto.

©Produzione riservata

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