"Amare uno stalker", intervista al criminologo Ruben De Luca

18.08.2025

di Vera Mocella

Riproponiamo, in un tempo ancora intriso di contraddizioni insanabili tra l'immagine della donna sempre più libera, sicura di sé ed emancipata, e quella dell'uomo sempre più ripiegato su se stesso, incapace di accettare un'icona femminile che sia aliena e distante dalla sottomissione e dallo stereotipo muliebre del silenzio, dell'accettazione e della docilità, l'intervista al criminologo Ruben De Luca, approdato in Irpinia, qualche anno fa, per la presentazione del libro "Amare uno stalker" (Alpes, 2015). Un titolo che rimanda drammaticamente ad episodi di femminicidio e di violenza perpetrata nei confronti delle donne, come i recenti fatti di cronaca continuano ad attestare, in cui il compagno che la donna ha scelto, si rivela come il più temibile e pericoloso Barbablù, uscito dalla più terrificante delle favole.

Ruben De Luca, Psicologo, Criminologo e Scrittore, è autore di circa 100 pubblicazioni di criminologia, in particolare sull'omicidio seriale di cui è considerato uno dei massimi esperti a livello europeo. Nel 2001 ha creato ESKIDAB (European Serial Killer Data Bank), un archivio in costante aggiornamento sugli assassini seriali identificati in Europa. Formatore presso master e corsi di specializzazione in tutta Italia, consulente e opinionista di programmi televisivi, dal 2009 si dedica anche allo studio dello stalking e alla realizzazione di corsi rivolti alle donne per la prevenzione del femminicidio.

1) "Amare uno stalker", un titolo che sembra quasi una provocazione….Da cosa nasce questo libro e quest'interesse per il mondo femminile, oltre che dalla sua attività di criminologo?

Ruben De Luca
Ruben De Luca

Mi piacerebbe tanto che il titolo del libro fosse una semplice provocazione, ma purtroppo, spesso, corrisponde alla cruda realtà. Ci sono donne che continuano a provare un sentimento d'amore malato verso uomini che le perseguitano, le umiliano e le sottomettono psicologicamente e fisicamente. Un amore malato, patologico, che sconfina nella «dipendenza affettiva» e che, come un virus, colpisce soprattutto donne con una scarsa autostima che pensano di "meritare di essere trattate male".

Ho sentito il bisogno, ma direi più precisamente l'esigenza fisica, di scrivere questo libro per alleviare il malessere che mi prende ogni volta in cui leggo sui giornali un caso di femminicidio che sembra perfettamente uguale a quello precedente e a quello ancora prima. Questi uomini che uccidono le mogli, le fidanzate, le ex, non si svegliano una mattina e agiscono "in preda a un raptus". No. Ci sono sempre dei segnali, degli atteggiamenti, un incremento di comportamenti violenti che sono altrettante spie di pericolo che vengono puntualmente sottovalutate o non interpretate correttamente.

Il mio interesse per l'argomento è dettato anche da una considerazione non trascurabile: sono ancora pochi gli uomini che si occupano del fenomeno, quasi tutti i libri in materia sono scritti da psicologhe e criminologhe. Io volevo spiegare alle donne come funziona la psiche del maschio, in particolare quella del predatore, per fornire degli strumenti pratici di aiuto per riconoscere se ci si trova invischiate in una relazione patologica.

Il primo passo verso un reale cambiamento di mentalità è che aumenti il numero degli uomini che si fanno carico del problema.

2) Circa metà delle donne italiane è stata vittima, almeno una volta nella vita, di episodi di violenza fisica, psicologica, sessuale o verbale. La donna è ancora succube di un immaginario maschile che la considera come un mero oggetto, privandola della sua dignità?

È sgradevole da dire, ma la risposta è assolutamente sì. C'è ancora molto lavoro da fare per cambiare la mentalità del maschio italiano che, in molti casi, continua a considerare la donna, in particolare la compagna, come una sua naturale appendice, una "proprietà", una "cosa" da possedere proprio come può esserlo una macchina.

Non va dimenticato che, fino al 1983, esisteva nel codice penale italiano la fattispecie del «delitto d'onore» che, in pratica, autorizzava gli uomini a uccidere le proprie mogli per "ristabilire l'onore" macchiato da un tradimento. E la maggior parte dei diritti che dovrebbero essere scontati (il diritto all'aborto, la legge sul divorzio, la parità nel lavoro e nel nucleo familiare), sono stati raggiunti dalle donne italiane solo negli ultimi 50 anni e il cambiamento delle leggi non è andato di pari passo con il cambiamento del modo di pensare di certi uomini.

3) Qualche anno fa, è uscito un libro che è diventato, in poco tempo, un vero e proprio best- seller "Donne che amano troppo", che evidenziava un modello sacrificale, del mondo femminile. E' ancora così'? La donna è ancora vittima di una cultura di genere che si avvale di stereotipi?

Purtroppo, anche in questo caso, la risposta è sì. Nonostante il femminismo, nonostante i cambiamenti dettati dal progresso, la verità è che la società si aspetta ancora che la donna sia paziente, comprensiva, sopporti molto più del maschio "in nome dell'amore", accudisca il suo uomo facendo la "crocerossina" e magari cammini anche un passo dietro a lui. E, infatti, la tesi principale del libro è che le donne devono smettere di "amare troppo", finendo intrappolate nel vortice della «dipendenza affettiva», e acquisire un modo di amare sano, amando in primo luogo se stesse e mandando avanti solo quei rapporti che producono un effettivo miglioramento della propria vita.

Uno dei capitoli è stato scritto da Alisa Mari, una studiosa delle dinamiche di coppia, che elenca «40 Regole per essere donne che NON amano PIÙ troppo»: se le donne le seguissero scrupolosamente, conoscerebbero meglio se stesse e intreccerebbero delle relazioni più felici e gratificanti.

4) Ritiene che anche la Chiesa, con la sua misoginia latente, abbia rafforzato l'immagine della donna, in qualche modo subalterna o inferiore al maschio?

Questo è un argomento piuttosto delicato visto che l'Italia è un paese dove la Chiesa è molto importante, ma, ancora una volta, la risposta è sì. Uno degli elementi più pericolosi è il famigerato "senso di colpa", uno dei concetti cardine della cultura cattolica. Purtroppo alcune donne hanno una capacità masochistica di elaborare dei veri e propri "sensi di colpa immaginari" che le fanno sentire sempre in difetto, in errore e colpevoli per qualche cosa (anche se non sanno bene "per cosa"). E gli psicopatici e i manipolatori sono molto bravi nel riconoscere le donne più portate a colpevolizzarsi e le distruggono psicologicamente, ancora prima che fisicamente, rendendole sempre più insicure e vulnerabili.

5) Come ci si può difendere dagli stalker? Quali sono i suoi consigli?

Mai assecondarli. Mai sopportare delle imposizioni con la speranza che "prima o poi si stancherà" perché lo stalker non si stanca mai di perseguitare la vittima prescelta. Lo stalker è un soggetto ossessivo, che perde interesse per qualsiasi aspetto della sua vita che non sia rendere un inferno l'esistenza della donna che ha deciso di martirizzare.

Non bisogna avere pietà né compassione se un uomo manipolatore e/o violento piagnucola, implora, supplica di restare con lui o di tornare insieme. Non bisogna mai e poi mai perdonare la violenza fisica perché a un primo schiaffo ne seguirà sempre un secondo e un terzo e così via. Non bisogna accettare "per cristiana rassegnazione" di essere umiliate e denigrate da un uomo che dice di amare ma che non si fa scrupolo di demolire sistematicamente la fiducia e la dignità della sua compagna.

Mai rinunciare del tutto a una vita sociale autonoma. Mantenere i contatti con gli amici e con la propria famiglia è un'abitudine sana che non toglie nulla a una vita di coppia felice ed equilibrata.

E, soprattutto, se una donna trova la forza di troncare i rapporti con uno stalker non deve mai, per nessun motivo, accettare il ricatto emotivo di vedersi "un'ultima volta" perché la maggior parte dei femminicidi avvengono proprio durante "quella" ultima volta.

6) Come può, una donna, riappropriarsi della sua vita e del suo vissuto, dopo un'esperienza così devastante? Come può costruire una nuova immagine di sé?

Prima di tutto, amandosi e volendosi bene, circondandosi solo di persone gentili che la valorizzino, non vergognandosi di chiedere aiuto perché non è semplice farcela da sola, prendersi del tempo per gratificarsi con attività piacevoli senza avere la smania di iniziare per forza una nuova relazione.

E, soprattutto, ripetendosi ogni giorno come un mantra due concetti fondamentali: "Non è colpa mia tutto quello che succede". "Merito di essere felice e di essere rispettata come persona".

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