Amati, amiamo!

19.02.2022

Settima Domenica del Tempo Ordinario, Anno C

Letture: 1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23; Sal 102; 1Cor 15, 45-49; Lc 6,27-38

di don Mattia Martino

Dopo il "beati" rivolto ai poveri, agli affamati, ai perseguitati, e i "guai" verso i ricchi e i gaudenti, Gesù prosegue nel suo discorso della pianura rivolto a coloro che lo stanno ascoltando, e traccia la via che deriva dall'accoglienza della Sua Parola. Si tratta di un cammino di perfezione difficile e impegnativo che ha come scopo l'essere misericordiosi come il Padre. Le parole di Gesù scuotono profondamente e non ci si può approcciare ad esse poggiando solo su una logica di buona volontà. L'evangelista pone la comunità in ascolto del cuore del messaggio cristiano, che è la misericordia. E cuore di questo messaggio è l'amore verso i nemici, estensione massima dell'amore verso il prossimo. Il nemico è presentato come colui che odia, maledice, maltratta, esprime la sua inimicizia con la violenza, il furto o la richiesta indebita. Gesù enuncia quattro atteggiamenti positivi da assumere verso di lui: amare, benedire, fare del bene, pregare.

Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano!

L'indicazione del Maestro è chiara: di fronte alla violenza, si reagisce con la non violenza. Ciò differenzia il cristiano dall'agire mondano. Certamente si tratta di una proposta straordinaria: non è istintivo avere una reazione di benevolenza verso chi ci fa del male. E qui entriamo nella dimensione paradossale della fede cristiana: un amore che ci è comandato, sotto forma di imperativo. Si può comandare l'amore? L'imperativo non esprime solo un ordine, ma rivela che quanto ci è comandato rientra nelle nostre possibilità. Prima ancora del "devi" viene il "puoi". Perché la legge dell'amore non è un obbligo proveniente dall'esterno, che impone e schiaccia. L'amore non è un dovere che va osservato in modo stoico. Si cadrebbe nell'ipocrisia.

Il vero amore è capace di promuovere la persona, risvegliare la sua fiducia nelle possibilità che ha di fare il bene. Possibilità di cui non si è sempre coscienti. Il testo dice: "A voi che ascoltate" (Lc 6, 27). Il Maestro parla ai discepoli, a coloro che sono disposti a compromettersi personalmente con la sua proposta di vita. Parla a noi, che cerchiamo di non perdere l'orientamento e di farci guidare dalla Parola. In virtù di questa, ci è data la possibilità di non rispondere al male con il male. Anzi, alla semplice non violenza si va ad aggiungere un atteggiamento di segno opposto. E la risposta non è solo solo sul piano concettuale, anzi è molto concreta. Ci sono azioni ben precise da porre in atto.

Luca riprende la regola d'oro, presente in modo trasversale in tutte le culture e anche nell'Antico Testamento (cf. Tb 4,15) in forma negativa. L'autore del terzo vangelo la enuncia in modo positivo:

 "Come volete che gli uomini facciano a voi, così fate anche a loro" (Lc 6, 31). 

Bisogna amare partendo da noi stessi. Cosa desidero per me? Certamente essere accolto, perdonato, amato. Questo voglio per me e questo devo dare agli altri.

Il nostro punto di riferimento è Cristo, l'ultimo Adamo. Paolo nella seconda lettura di oggi ci invita ad essergli somiglianti. In noi c'è l'impronta del primo Adamo, che ci porta a rendere il male. Ma c'è anche l'impronta di Cristo, perché siamo partecipi della Sua vita, la vita della grazia. In questo modo possiamo vivere conformi a ciò che siamo: figli di Dio. E se vivo così, arrivo dritto al cuore di tutta la mia fede, cogliendo a pieno il dono del Battesimo, che impegna ciascuno di noi alla corrispondenza con l'Adamo perfetto.

L'amore ai nemici richiede un costante lavoro interiore su noi stessi. Vuol dire cambiare lo sguardo verso l'altro. Ciò non vuol dire giustificare o subire il male, bensì distinguere l'azione dalla persona. Scrive San Giovanni Crisostomo: "Un uomo, qualsiasi cosa ti faccia, è un fratello". Un fratello che si è allontanato, ma che è pur sempre amabile. E lo vedo così solo se mi ricordo che Dio ha amato noi quando eravamo poco meritevoli, "quando eravamo nemici" (cf. Rm 5, 6-10). In Cristo tradito, abbandonato, condannato ingiustamente, che in croce arriva a perdonare i suoi aguzzini, troviamo la capacità di trasformare ogni evento in occasione di vittoria dell'amore.

"Siate misericordiosi" (Lc 6, 36)

Luca riprende l'esortazione che Dio rivolge al popolo di Israele ("Siate santi", cf Lv 19, 2). La santità di Dio è la sua alterità, la sua separazione dal male, la sua perfetta bontà (in sè e verso le creature). Certamente essere santi, per noi, non vuol dire essere perfetti come Dio. Non vuol dire fare tutto giusto. Vuol dire però essere misericordiosi.

La misericordia è amore incondizionato, fedele, che supera la reciprocità. Amore che è sempre in perdita. Ma la Scrittura la descrive anche come amore viscerale, facendo riferimento alle viscere materne.

Essere misericordiosi vuol dire sentire e vivere queste sfumature. Solo se sono misericordioso sarò santo. E riceverò, nel giudizio (che spetta solo a Dio) un dono abbondante. La larghezza con cui dono oggi misura l'abbondanza del dono che riceverò da Dio, domani!    

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