Annuncia la Parola. Oggi, proprio oggi!

22.01.2022

Di don Mattia Martino

La terza Domenica del Tempo Ordinario si celebra la Domenica della Parola di Dio, voluta fortemente da Papa Francesco e istituita ufficialmente con la lettera apostolica "Aperuit illis", con lo scopo di ravvivare la responsabilità che i credenti hanno nella conoscenza della Scrittura e nel mantenerla viva attraverso una permanente opera di trasmissione, capace di dar senso alla vita e al cammino della Chiesa. Il luogo principe per l'incontro con la Parola di Dio custodita nella Bibbia è la liturgia. La proclamazione delle letture durante la Messa presuppone, oltre che un vero ascolto, un vivo desiderio di accoglienza. E i testi proposti alla nostra meditazione ci mostrano due momenti in cui la Scrittura viene proclamata solennemente. Nella prima lettura il popolo è raccolto in piazza alla presenza del governatore Neemia e del sacerdote Esdra. Erano ritornati dall'esilio, tempo terribile in cui ogni riferimento che faceva di Israele il popolo eletto era venuto meno. Ora, inizia la fase della ricostruzione. Esdra sale su una tribuna e inizia a leggere il Libro. L'assemblea ascolta in silenzio e si commuove: quelle parole hanno toccato le corde più intime del loro animo e hanno suscitato la consapevolezza delle loro mancanze di fronte a Dio. Quando la Parola è accolta, essa lascia un segno. Come la spada che ferisce (cf. Eb 4,12). La Parola divide ciascuno di noi: fra fede e dubbio, fra speranza e disperazione. Ed è proprio questa divisione che Esdra e Neemia vogliono far superare al popolo: basta piangere, bisogna far festa! Invito che non perde mai la sua attualità: gioire nel pianto, nella fatica. Gioire è il verbo di chi avuto il dono di incontrare il Signore. Gioire nel far memoria del bene ricevuto; nel ricordare le meraviglie che Dio ha compiuto e compie anche nel pianto. Anche nel pianto della pandemia. In questi anni ci sono state diverse testimonianze da cui è venuto fuori il volto bello della Chiesa a servizio di tanti fratelli e sorelle, solidale alla loro emergenza e aperta alle loro necessità. Pensiamo alle tante iniziative di carità concreta svolte nel più totale nascondimento, secondo lo spirito evangelico del lievito che fermenta la pasta (cf. Mt 13, 33). Quanti cattolici si sono rimboccati le maniche! Quanti continuano a farlo! Quanti preti hanno messo a rischio la loro salute per non lasciare sole le persone affidate alle loro cure pastorali! Molti di essi si sono dovuti sforzare nell'inventare nuove modalità per la pastorale, dovendo supplire all' impossibilità di incontrarsi in presenza. 

"La gioia del Signore sia la vostra forza": è una delle formule di congedo della Messa, che riprende proprio le parole di Neemia. Costruiamo la nostra fede su questa Parola. Iniziamo la lettura continua del Vangelo di Luca, che in verità abbiamo già letto dall'inizio dell'anno liturgico, ma con criteri diversi (il discorso escatologico, le figure del Battista e di Maria in Avvento; a seguire i racconti dell'infanzia e il Battesimo di Gesù). Il brano evangelico odierno è una fusione di due testi: il primo è il prologo del terzo Vangelo, il secondo presenta Gesù che legge e commenta un passo di Isaia. Il prologo sottolinea che Luca si accinge a scrivere un racconto, il cui scopo è quello di condurci per mano, coinvolgendoci nei fatti. Luca ha fatto questa esperienza: si è fatto toccare dal messaggio di alcuni testimoni oculari, ministri (servi) di un messaggio, e si fa coinvolgere nell'annuncio. Procede raccogliendo il materiale in modo rigoroso, informandosi, consultando le fonti. Il suo lavoro ha un destinatario, Teofilo, un illustre personaggio dell'amministrazione greco-romana già istruito nella fede, dietro cui possiamo intravedere ogni cristiano "amante di Dio" (è il significato del nome). 

Il fine dell'opera è dunque dare basi solide a un insegnamento già ricevuto. Pietro scriverebbe che è dare ragione della speranza che anima (cf. 1 Pt 3, 15). Luca sollecita anche noi: di fronte ai nuovi interrogativi sorti nel nostro contesto culturale in continua evoluzione, è urgente dare solidità alla nostra fede. Il rischio di creare una religione personale, rispondente solo ai propri desideri, attingendo da ogni parte, perdendosi in dottrine vane e passeggere, è sempre dietro l'angolo. Pensiamo alla Parola, centro di questa giornata: se non la conosciamo, come potremo proporla agli altri quale lampada per i loro passi (cf. Sal 118, 105)? Scrive Agostino: "la fede se non è pensata, è nulla". Gli fa eco Giovanni Paolo II nel 1982: "Una fede che non diventa cultura è una fede non pienamente accolta, non interamente pensata e non fedelmente vissuta". Gesù visita Nazareth, luogo dove è cresciuto, e si presenta in sinagoga durante la liturgia dello shabbat. Si presta a fare da lettore. Luca riporta la visita a Nazareth all'inizio della missione di Gesù, a differenza di Matteo e Marco, che invece iniziano con la chiamata dei primi discepoli. E quando anch'essi riferiranno quest'episodio non fanno il nome della città e non precisano il contenuto dell'insegnamento. Luca invece vuol illustrare da subito l'essenza della missione di Gesù, venuto per realizzare la liberazione per tutti i popoli, ma respinto dai suoi fratelli d'Israele. 

Entrato nella sinagoga, si presta a fare da lettore. Erano previste due letture: una tratta dalla Legge, l'altra dai Profeti. Il secondo lettore era abilitato anche al commento del testo (a dodici anni si acquisiva ufficialmente questa facoltà). Gesù legge un brano di Isaia, una presentazione di un profeta che testimonia la sua vocazione e missione. Il testo risale a quasi 500 anni prima prima di Cristo e parla di questo "unto" dal Signore che deve consolare e dare forza al popolo, di rientro dall'esilio. Gesù applica a sé quanto ha letto, e lo fa in virtù della presenza dello Spirito in Lui. Gesù e lo Spirito sono due compagni inseparabili: concepito per opera dello Spirito, che nel Battesimo scende su di lui in forma corporea. Lo stesso Spirito lo conduce nel deserto, dove sarà tentato, e lo riaccompagna in Galilea. Gesù è "l'ispirato". Ed è lo Spirito che, nell'episodio raccontato, rende vivo ciò che potrebbe sembrare una mera consuetudine (sono ripetitivi il giorno, il luogo, i gesti liturgici). Lo Spirito rende il ripetere un fare memoria viva. Lo possiamo constatare: la liturgia è sempre la stessa e a volte anche la Parola si ripete (ci sono dei brani davvero molto ricorrenti). Ma se facciamo spazio allo Spirito, quella liturgia, quella parola acquistano una valenza rinnovata. Gesù apre e chiude il rotolo. Gesto non banale, ma carico di significato: Gesù apre e chiude la Scrittura. 

Apre, perché senza di Lui, il Libro resta chiuso; mancherebbe la ragione per cui è stato scritto. Chiude, perché in Lui c'è compimento perfetto di tutte le parole della Scrittura. Agostino scrive che il Nuovo (Testamento) è nascosto nel Vecchio, e il Vecchio è svelato nel Nuovo. Ciò è possibile perché Gesù apre e chiude la Scrittura, è la chiave con cui leggerla. Gesù commenta il brano con un avverbio temporale che Luca ripeterà spesso: oggi. Oggi è per me l'ora di ascoltare la Parola. Oggi questa Parola risuona per la mia vita. Oggi posso scegliere di aderirvi o respingerla. Oggi posso decidere di mettermi alle spalle il passato. Oggi ricomincio, perché la vita cristiana va "di inizio in inizio attraverso inizi che non hanno mai fine"(Gregorio di Nissa). Oggi, proprio oggi...

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