Aristotele di Stagira: la certezza dell’unità cosmica

27.04.2022

di Egidio Cappello

Aristotele di Stagira è il punto di arrivo del corso filosofico iniziato sulle spiagge di Mileto. In due secoli la timida ricerca del fondamento che muove tutte le cose, individuato all'inizio nell'acqua da Talete, si amplia, si arricchisce della vastità dei bisogni culturali dell'uomo fino a raggiungere la sua meta più elevata. Cento rivoli confluiscono nel mare magnum della ricerca di Aristotele: nella Scuola da lui creata ad Atene, il Liceo, non c'è sapere che non venga studiato, non c'è disciplina che non trovi le argomentazioni più organiche e giuste, non c'è pensiero che non trovi il supporto della metodologia scientifica più appropriata. Ogni convinzione, ogni idea, diventa, in Aristotele, la verità. La produzione è infinita. Ipse dixit, diranno in seguito gli studiosi quando riferiranno le convinzioni di Aristotele. 

Fino al XVII secolo dell'era cristiana, il filosofo di Stagira sarà la filosofia ufficiale, sarà l'auctoritas del discorso filosofico, sarà il Logos. Aristotele sarà per tanti secoli, "il maestro di color che sanno". Quali i motivi di tanta forza culturale? Quali i cammini della ricerca aristotelica? Da quali argomentazioni la certezza della verità? Noi ci limitiamo a riflettere sul tema della unità, dell'unità cosmica, sul principio eterno che spiega il modo in cui avvengono i mutamenti nella natura. Fondamentale è comprendere ciò che significa mutamento: Aristotele non abbandona il mondo al caos, al disordine, non rende il presente storico succubo del temporaneo, né lascia la ragione in preda ai recinti sensoriali. Egli considera il mondo come una macchina che si muove verso finalità proprie, una macchina ordinata, destinata dalle proprie cause prime alla realizzazione di un piano inclusivo di progressione verso l'unitarietà, verso il bene. Ogni cosa, egli dice, contiene potenzialità, contiene risorse, contiene forze interiori e il cammino della stessa è costituito dall'attuazione delle proprie dotazioni. 

Aristotele parla di passaggio dalla potenza all'atto, passaggio naturale, passaggio evolutivo, in quanto ogni momento superiore, nel cammino di una cosa reale, costituisce una condizione di maggiore pienezza e di realizzazione delle proprie risorse. È questa la condizione di tutte le cose, ed è questa la condizione dell'uomo: attuare le proprie potenzialità, le proprie ricchezze interiori, liberarsi dal peso della quantità delle risorse da realizzare e vivere la purezza della integrale attuazione. Il mondo è attratto da una entelechia, da una legge finalistica, unificatoria, e percorre un itinerarium ad unum verso una realtà perfetta. Aristotele chiama atto puro questa realtà, ma dà alla stessa i caratteri di Dio. L'atto puro è fuori dalla materia, è perfetto, è unico, è il fondamento della vita di tutti gli esseri celesti ed umani. Il mutamento è particolare: nel passaggio dalla potenza all'atto è quest'ultimo a precedere la prima in quanto l'atto è già chiaramente scritto nella potenza e guida la stessa verso la propria realizzazione. L'interpretazione conduce Aristotele a definire il concetto di causa e a sostenere che le cause prime sono le medesime delle cause finali. Nella determinazione di ogni cosa egli parla di 4 cause, quella materiale, quella formale, quella efficiente, e quella finale. È quest'ultima a spiegare i modi e i tempi del cammino progressivo della cose. Tutto ha uno scopo e tutto ha una causa efficiente. A monte di tutto c'è la divinità. 

È questa il motore immobile che imprime il movimento al cosmo. Il movimento è quello dell'amante verso la cosa o la persona amata. È una attrazione profonda che non ha nulla di meccanico. Sbalordisce questo Dio di Aristotele che non ha alcun potere creativo ma che imprime al tutto e a tutti gli uomini il migliore dei movimenti verso la purezza, verso l'integrale realizzazione della propria natura. Nel quadro generale di un cosmo ordinato e pellegrino verso la propria piena realizzazione, Aristotele inserisce la sua antropologia. Certo la situazione storica gli dava molte opportunità per pensare al disordine, al disagio, alla contrapposizione e alla guerra, e lo stesso suo allievo macedone, Alessandro il Grande, si era distinto, nello scenario storico del IV secolo, per le guerre mosse contro gli imperi orientali. Aristotele non scalfisce le sue idee fondamentali: per lui l'uomo è un animale politico il che significa che porta con sé una socialità naturale, porta con sé l'idea dell'appartenenza, l'idea della patria, l'idea dell'umanità che coinvolge e aggrega. 

Anche se il filosofo di Stagira non ha ancora tutti gli elementi per costruire l'idea di un diritto naturale, opera del Cristianesimo, certamente costruisce una piattaforma dalla quale sarà semplice il passaggio alla cultura cristiana. Con Aristotele il cammino della ricerca dell'archè è praticamente terminato; non è sbagliato affermare che, con Aristotele, la filosofia ha raggiunto la sua stazione finale. La individuazione di Dio come principio e fine del cosmo, è il fondamento sicuro e certo di ogni lettura della realtà. La ragione non possiede forze maggiori per andare oltre le convinzioni aristoteliche, non ha strumenti per superare o per eliminare, dalla propria vita, la presenza decisiva di Dio, motore di tutte le cose. 

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