Bambini cristiani in moschea: tra "gioco" e riflessione culturale
di Paolo Scarabeo
Un episodio, accaduto in Veneto, nella Scuola 'Santa Maria delle Vittorie' di Susegana in Provincia di Treviso, nei giorni scorsi, sta accendendo il dibattito pubblico: un gruppo di bambini cristiani, della scuola dell'Infanzia, accompagnati dalle loro maestre, è stato portato in visita a una moschea e, durante l'esperienza, i piccoli si sono inginocchiati come fanno i musulmani nel momento della preghiera. Le reazioni non si sono fatte attendere: da più parti si è parlato di un "limite superato", mentre le maestre hanno difeso la loro scelta sostenendo che non si trattava di un atto di preghiera, ma di un momento "gioco e di leggerezza". È intervenuto sul caso anche il Governatore del Veneto Zaia che, senza mezzi termini, ha parlato di 'castrazione identitaria': "Non si è rispettato l'aspetto identitario - ha detto -. Se ti dichiari cattolico, ma anche se ti dichiari ateo, comunque la tua identità ha profonde radici cristiane. Non può essere violata o cancellata". La Dirigente Scolastica difende il proprio operato e quello delle maestre: "Ci crediamo molto. E dopo tutto il dibattito che si è scatenato - ha detto - ci siamo resi conto che si deve fare ancora di più. Perché l'inclusione e l'accoglienza arrivino nelle scuole ma anche nella società che troppo spesso ha paura".
Dal nostro punto di vista, l'episodio va trattato in modo totalmente diverso, - per altro è accaduto in una Scuola Cattolica - e al netto delle 'questioni politiche' che poco ci riguardano (e che riteniamo fuori luogo) deve avviare riflessioni sul principio di reciprocità culturale nelle scuole. Ci chiediamo, ad esempio, come mai, per rispetto delle sensibilità dei non cristiani, si sia arrivati a limitare o modificare tradizioni come il presepe o perché, sempre in Veneto, ma questa volta in Provincia di Padova, in una scuola primaria nelle canzoni natalizie il nome di Gesù venne sostituito da parole neutre come "Cucù", mentre una visita in moschea che prevede gesti simili alla preghiera venga considerata un'attività ludica. La Dirigente ha detto "I bambini si sono seduti spontaneamente", fatichiamo a immaginare che abbiano assunto quella postura naturalmente, se nessuno glielo avesse detto, ma comprendiamo anche che è nel DNA dei bambini il voler provare, fare esperienze. Ma ricordo, anche, il caso di Vescovi cattolici a cui - durante la visita pastorale nel paese - è stato vietato l'ingresso nella Scuola, ma dalle foto si vedono bambini inginocchiati, rivolti alla Mecca e dinanzi a loro l'Imam. Cosa avrebbero detto i genitori dei bambini musulmani o le varie Associazioni di atei e agnostici, se quei bambini fossero stati portati in chiesa e avessero incontrato il Vescovo? Non si tratta, quindi, di mettere in discussione il valore pedagogico dell'incontro con culture diverse, che dal nostro punto di vista è altissimo, né tantomeno il valore dell'inclusione, che oggi più che mai sono necessari e urgenti, ma di riflettere su come venga percepita l'interazione culturale, soprattutto quando questa ha paura delle proprie origini e naviga a senso unico.
«L'imam è stato accogliente e preciso nel far cogliere le somiglianze e le differenze tra il suo ruolo e quello di don Andrea, il parroco (che ci auguriamo fosse presente!) - ha precisato la scuola -; ha saputo comunicare quello che si fa al Centro senza creare confusione nella testa dei bambini. Nel momento di spiegare come si prega, è stato ovvio per i bambini provare a inginocchiarsi, perché un bambino vive così l'entrare in nuove esperienze e capirle. I bambini non hanno pregato in quella posizione: hanno provato a sentire quello che sente un loro amico quando sta così».
Dialogo interculturale o relativismo?
La scuola ha il compito di educare alla convivenza civile e al rispetto reciproco, ma questo non deve tradursi in una forma di relativismo culturale che mette in secondo piano le tradizioni proprie per avvicinarsi esclusivamente a quelle altrui. Se portare i bambini a conoscere una moschea è un'iniziativa positiva, bisogna altresì interrogarsi sul perché, in altri contesti, alcune espressioni della tradizione cristiana vengano messe da parte o edulcorate. I due esempi che abbiamo fatto più sopra, sono solo due di una lunghissima serie di esempi che potremmo fare, in cui la tradizione cristiana è stata estromessa da contesti scolastici per "rispetto".
Educare al rispetto non significa cancellare la propria identità culturale, ma confrontarsi con l'altro senza rinunciare a sé stessi. Forse, la riflessione più profonda da fare riguarda il modo in cui si costruisce il dialogo interculturale nelle scuole.
I bambini, tutti insieme, alla fine hanno pregato per la pace, "La preghiera per gli altri bambini del mondo e per la pace, fatta assieme, ha permesso nelle parole, di stare tutti sotto lo sguardo del proprio Dio" - ha detto ancora la scuola - "e di sentirsi 'Fratelli tutti'.
Nulla, in questo momento storico, è più importante che ritrovarci tutti in una vera, grande fraternità, ed è anche per questo speriamo che finalmente dire "Gesù" non sia più un problema!