“Basilicata Sacra : un altro cielo” in Mostra al Palazzo della Cancelleria di Roma. Una lucanità di luce ed ombra nella Via Crucis di Franco Corbisiero
di Maria Carmela Mugnano
Dal 3 al 24 settembre al Palazzo della Cancelleria di Roma, in occasione dell'Anno Giubilare, si può visitare gratuitamente la Mostra "Basilicata Sacra: un altro cielo", promossa dalla Regione Basilicata attraverso l'Agenzia di Promozione Territoriale regionale, e in collaborazione con la Conferenza Episcopale lucana. Nella Mostra, curata dalla storica dell'arte Merisabell Calitri, si possono ammirare oggetti simbolo di un'antica religiosità, testimoni di un passato di grande fede popolare che continua a vivere nel territorio, e mette le ali in questa Mostra grazie ad apparati mutimediali che ne ampliano suggestivamente i contenuti.
Giunti alla terza sala espositiva desta quindi meraviglia, in questo contesto, l'effetto materico di quadri che riproducono una Via Crucis di grande modernità, ma che, a ben guardare, nell'idea creativa e nella realizzazione artistica, sembrano esprimere l'essenza sacra della lucanità. Ed è proprio su questa opera d'arte e sulla sua ispirazione, che abbiamo incontrato il suo Autore, Franco Corbisiero, artista nato e residente in Basilicata, per condividere con lui alcune riflessioni, qui riportate.
M. Salve Franco, ho scritto diverse cose, negli anni, sulla Basilicata, una terra che amo molto, e nel mio breve saggio sulle Dolomiti Lucane ("Verso la luce: percorsi lucani") ho cercato di definire la lucanità in termini di luce ed ombra, impliciti nel termine latino lucus, "bosco sacro", forse la radice più accreditata di Lucania. Il bosco era "il luogo dell'ombra" che custodiva con il suo fogliame, come racchiuso in uno scrigno, "il luogo della luce", della rappresentazione sacra, una radura svelata dove si svolgeva il culto delle antiche religioni. Era lo spazio dove l'umanità incontra la divinità, e i tuoi quadri-sculture mi hanno fatto pensare a questo stesso svelamento, una strada per gli occhi e la mente percorribile in una visione prospettica. Facendosi largo attraverso il fogliame sacro di una matericità che intende proteggere, si incontra quello che nel catalogo definisci "l'unico orizzonte possibile", il volto di Cristo, in uno spazio in cui la rappresentazione diventa raffigurazione sacra. E anche la tua intenzione artistica, quando scrivi :"Ho dipinto la sequenza della Passione come un lento respiro di luce ed ombra", sembra quel chiaroscuro che asseconda l'idea della lucanità, l'ombra che svela la luce. Ci puoi parlare dei pensieri creativi che ti hanno ispirato nella realizzazione della Via Crucis, e della tecnica con cui l'hai elaborata?
F. Mi sono lasciato guidare da un profondo desiderio di rendere palpabile l'intensità della sofferenza di Gesù durante la Via Crucis, puntando a creare un'immagine che vivesse nel cuore di chi osserva. La mia ispirazione nasce dall'intento di mettere in risalto il volto di Cristo, catturando le emozioni più profonde e autentiche, ma soprattutto umane, che attraversano il suo volto in quel momento di estrema prova.
Ho immaginato Gesù come se io stesso fossi presente in quei precisi istanti, cercando di immergermi nella dimensione della sua umanità di Cristo e della sua compassione per rendere l'esperienza della Passione più viva e coinvolgente, superando la mera rappresentazione simbolica e arrivare a trasmettere le emozioni più intime e universali.
Sulla materia fatta di carta giornali ricolmi del frastuono di notizie del mondo d'oggi risaltano linee e colori essenziali che intendono restituire a chi guarda il momento della Passione come un'esperienza non solo visiva, ma anche tangibilmente emotiva e spirituale.
M. Il secondo argomento di riflessione mi viene dalla dignità con cui hai raffigurato Cristo, cogliendo nel suo sguardo quella sofferenza consapevole, una scelta di amore che trasforma la morte in un atto di salvezza e di speranza per l'umanità. Ma, se pensiamo a quanti ogni giorno subiscono l'orrore dell'annientamento, del corpo e della dignità umana, mi chiedo quale possa essere la funzione dell'arte nel costruire uno spazio per la sacralità di questa parte di umanità, vittima di tali atrocità. Lo scrittore praghese Franz Werfel, che nel 1933 pubblicò il suo romanzo capolavoro, "I quaranta giorni del Mussa Dagh", svelando al mondo il genocidio armeno, in una pagina illuminata del libro ci parla di tutti i genocidi, affermando che l'opera di uccisione dell'anima supera l'uccisione dei corpi, e che la peggiore atrocità non è lo sterminio di tutto un popolo, ma lo sterminio della coscienza, in tutto un popolo, della sua discendenza da Dio. È quello che Werfel chiama "l'assassinio di Dio". E aggiunge che queste colonne di morte hanno perso la dignità e la forza di salire verso il cielo, e sono condannate a non vedere la luce. Sono espressioni e immagini molto forti e toccanti, e forse solo l'arte potrebbe idealmente restituire dignità a queste creature e illuminare il loro volo.
F. Ti ringrazio per questa riflessione così profonda e illuminante. Credo fermamente che l'arte abbia un ruolo fondamentale nel rinnovare e restituire dignità a coloro che l'hanno perduta, specialmente alle vittime di genocidi e di ogni forma di violenza che annienta l'anima e il senso di umanità. La mia raffigurazione di Cristo, col suo sguardo consapevole e pieno di amore, è un tentativo di mostrare che anche nella sofferenza e nella morte si può trovare una scintilla di speranza e di redenzione, un gesto che trasforma il dolore in salvezza.
L'arte, in questo senso, può diventare un ponte tra il passato e il presente, tra il silenzio dell'ingiustizia e la voce della memoria. Può illuminare le ombre più profonde, rischiarando le parti di umanità che sono state oppresse e negate e risvegliando in chi guarda la consapevolezza della propria propria dignità e del valore di ogni vita.
Credo che l'arte abbia il potere di illuminare la strada verso la luce, verso la coscienza e la speranza. È un atto di resistenza e di amore, che ricorda a tutti noi che la dignità umana, anche nei momenti più bui, può essere riaccesa e riaffermata. In questo modo, l'arte diventa non solo testimonianza, ma anche un gesto di salvezza e di riscatto, un'azione che permette alla luce di attraversare le tenebre e di raggiungere le anime più ferite.
M. Grazie per queste tue splendide considerazioni sul potere dell'arte. Non mi meravigliano se penso a un passaggio del commento di Merisabell Calitri alla tua opera : "... è una Via Crucis... volta all'introspezione, alla più intima delle contemplazioni, capace, come solo l'arte sa fare, di stare cent'anni davanti a noi".
