Beati noi, nonostante tutto

12.02.2022

VI Domenica del Tempo Ordinario, Anno C

Letture: Geremia 17,5-8; Salmo 1; 1 Corinzi 15,12.16-20; Luca 6,17.20-26

di don Mattia Martino

Questa Domenica presenta la versione lucana del testo delle Beatitudini. La profezia di Geremia ne costituisce una perfetta introduzione. Il profeta descrive bene l'atteggiamento tipico del credente e del miscredente. La maledizione (e il suo contrario, la benedizione) non è frutto del caso, ma dell'atteggiamento con cui viviamo. Da un lato c'è la sorte infelice di chi confida nella carne. Dall'altra la benedizione per chi confida nel Signore. C'è chi poggia tutto sulla carne, cioè sull'uomo nella sua caducità. C'è chi vive con un orizzonte ristretto, limitato alla sola dimensione orizzontale. C'è chi pensa di poter bastare a se stesso, di poter trovare sempre da solo la soluzione ad ogni questione. Costui sarà come un tamarisco, pianta quasi senza foglie che cresce nella steppa o nel deserto vicino a quei torrenti che si riempiono di acqua solo per poco tempo, ma che restano aridi durante tutto l'anno. L'uomo benedetto è simile a un albero che è piantato lungo l'acqua di un fiume che non secca mai. C'è sempre nutrimento, anche nei momenti di siccità. Ciò che differenzia il tamarisco dall'albero è il luogo dove mettono le radici. L'acqua del fiume salva la pianta dall'aridità, che invece colpisce il tamarisco, il quale si trova a secco proprio quando avrebbe bisogno di una piccolissima riserva.

Tutti noi ci troviamo ad affrontare difficoltà. Il segreto non è cercare di evitarle. E se anche ci si riesce, prima o poi rispuntano inevitabilmente. L'unica scelta giusta è mettere le radici al posto giusto, cioè vicino a Dio. Solo con Lui possiamo vivere producendo sempre frutti. Sempre.

Se fotografiamo un tamarisco quando i torrenti della steppa sono rigonfi d'acqua, potremmo concludere che stia meglio dell'albero. Ma quella piena passa e quell'acqua non viene assorbita neanche un po'. L'acqua del fiume, invece, scorre lentamente, garantendo approvvigionamento costante. A lungo, senza fare rumore.

Il nostro posto è dunque vicino al Signore; con Lui c'è sempre acqua fresca, con Lui c'è gioia duratura. 

Il tutto nel più totale nascondimento. Dio non fa rumore: quante persone si sono lasciate raggiungere dalla Sua opera, e vivono nel mondo come quel pizzico di lievito che fermenta silenziosamente la pasta.

Il brano evangelico segue lo stesso schema della prima lettura: alla beatitudine Luca fa seguire i "guai". Siamo più abituati alla versione di Matteo. Luca presenta solo quattro beatitudini (Matteo otto); Gesù parla in un luogo pianeggiante (Matteo ambienta sul monte); Luca unisce "beati voi" e "guai" (Matteo li separa).

Gesù, dopo aver chiamato i primi quattro discepoli, sale sul monte, prega, allarga il gruppo a dodici. Poi, con loro, scende in pianura. E da lì parla. Dal luogo in cui abita l'umanità. E nella folla vi sono tutti: i discepoli, ebrei, non ebrei provenienti da terre pagane. Gesù scende e dona una Parola a quella folla. Gesù è la Parola che scende e raggiunge l'uomo, lì dove si trova. Ed e Parola per tutti. Gesù è l'icona delle beatitudini. Lui stesso è l'Uomo delle beatitudini, che le ha vissute in prima persona.

Gesù proclama beati i poveri, gli affamati, chi piange, chi è perseguitato. L'esatto opposto del mondo che ammira chi è ricco, chi ha da mangiare fino a ingrassare, chi ha una vita godereccia, chi è applaudito dalla massa perché si omologa al pensiero dominante. Queste parole sono comprensibili solo alla luce della venuta del Regno di Dio, in Gesù. La beatitudine è un presente: oggi si è beati. Perché il Regno di Dio è arrivato; le attese profetiche di un tempo messianico in cui Dio si prende cura degli ultimi sono compiute. Ma occhio a non confondere le beatitudini con un'esaltazione della povertà o della persecuzione.

Dio si occupa di noi se poveri, piangenti, affamati e perseguitati. Si è beati se non si cerca la povertà (la fame, il pianto o la persecuzione) eppure la si deve vivere. Gesù infine ammonisce gli ascoltatori. 

"Guai" suonerebbe come una minaccia. Ma non è così. Piuttosto è un grido di dolore per coloro che hanno puntato su ciò che non appaga. Se nel mio orizzonte ho solo la brama di possedere, di apparire, di contare qualcosa, scoprirò che nella mia anima non c'è posto per Dio.

Se vivo in funzione dell'apprezzamento altrui vivrò solo nell'apparenza. Tenderò solo ad omologarmi, e il Vangelo non passerà. Il Maestro ci chiede di vivere queste parole impegnative, e per molti versi rivoluzionarie.

Beati noi che decidiamo di provarci, nonostante tutto. 

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