Bocca e cuore, occhio e sguardo
Riproponiamo qui un intervento tenuto nel 2017 dal nostro direttore in occasione della Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Contiene spunti importanti di grande attualità.
Mi piace introdurci a questo pomeriggio di riflessione, che sarà occasione anche per presentare il lavoro dell'esimio collega Gisotti, proponendovi un brevissimo brano del Vangelo che ascoltiamo insieme a mo' di Preghiera introduttiva (Mt, 12,34-37)
«Se prendete un albero buono, anche il suo frutto sarà buono; se prendete un albero cattivo, anche il suo frutto sarà cattivo: dal frutto infatti si conosce l`albero. Razza di vipere, come potete dire cose buone, voi che siete cattivi? Poiché la bocca parla dalla pienezza del cuore. L`uomo buono dal suo buon tesoro trae cose buone, mentre l`uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae cose cattive. Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato» .
È sorprendente come nel Vangelo la comunicazione - e in modo particolare quella verbale, la parola - rappresenti il punto di valutazione ultimo della persona! Proprio il testo appena proclamato - che un po' ci spiazza per la veemenza del linguaggio di Gesù - fa esplicito riferimento alla 'bocca che parla dalla pienezza del cuore'.
Lontano da qualsiasi moralismo, il Maestro afferma che non c'è estraneità tra quel che si dice e quel che si è, anzi la parola di una persona corrisponde al suo essere e lo qualifica, al punto che "in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato" (v. 37). Se ci si allargasse al contesto immediato del brano matteano ci si accorgerebbe che la parola può addirittura uccidere lo Spirito (!), cioè spegnere la vita.
Basta questa convinzione per giustificare il nostro ritrovarci oggi pomeriggio qui in Convegno. Vogliamo infatti riassaporare il senso e la forza, ma ancor prima il gusto e la fragranza delle parole... parola come speranza e fiducia che sono quelle su cui ci inviterà a riflettere il Santo Padre nel suo Messaggio per la 51^ Giornata Mondiale per le Comunicazioni Sociali che sarà pubblicato il prossimo martedì 24, quelle che fanno la nostra comunicazione, pur nella varietà delle sue forme: il giornale, la radio, la TV, il web.
Le parole infatti non sono mai un prodotto automatico o neutro, ma sempre riconducibili ad un mondo più grande, ad una dimensione più complessa, come appunto stanno i frutti rispetto all'albero. Le parole non nascono a caso, sempre procedono da uno sguardo sulla realtà ed esprimono una presa di posizione nei suoi confronti.
Già Aristotele del resto lo aveva compreso quando scriveva: "L'uomo, solo tra gli animali ha la parola: la voce indica quel che è doloroso e gioioso e pertanto l'hanno anche gli altri animali (e in effetti, fin qui giunge la loro natura, di avere la sensazione di quanto è doloroso e gioioso e di indicarselo a vicenda), ma la parola è fatta per esprimere (...) il giusto e l'ingiusto: questo è, infatti, proprio dell'uomo rispetto agli altri animali, di avere, egli solo la percezione del bene e del male, del giusto e dell'ingiusto e degli altri valori: il possesso comune di questi costituisce la famiglia e lo Stato" (Aristotele, Politica, I,2, 1253).
Alla base della nostra tradizione occidentale sta dunque la convinzione che la differenza tra il branco e la comunità umana è data dal fatto che mentre il linguaggio degli animali non umani è basato sulla manifestazione immediata di sensazioni e di desideri istintivi, quello con cui comunicano gli esseri umani si fonda su ciò che Aristotele chiamava logos, cioè parola, ragione. Non obbedisce dunque a meccanismi puramente istintuali, ma suppone un certo distacco dall'immediatezza delle pulsioni e una penetrazione, grazie ad esso, del senso profondo delle situazioni.
Nella parola intesa come logos si manifesta la verità delle cose. Proprio per questo essa è capace di esprimere non solo dei bisogni soggettivi, ma dei valori universali - il bene e il male, il giusto e l'ingiusto - e quindi di accomunare i singoli attorno a questi valori.
Da qui i due compiti che definiscono l'orizzonte del nostro appuntamento e ne segnano il confine tematico. Anzitutto occorre restituire alla parola il suo spessore e la sua profondità, che la rendono eco del Logos divino. Solo così essa prenderà la forma di un agire comunicativo e non semplicemente strategico, secondo la nota distinzione di un pensatore laico del calibro di Habermas.
Nel primo caso si tratta l'altro come qualcuno con cui discutere alla pari, in vista di una possibile intesa, nel secondo egli viene ridotto a puro e semplice oggetto di manipolazione psicologica. Nel primo si cerca un contatto e quindi una relazione possibile, nel secondo non si vuole l'intesa con l'altro, ma soltanto condizionarlo per scopi e fini diversi rispetto all'incontro. Solo dall'agire comunicativo viene costruita la comunità, e a farlo rinascere oggi più che mai deve tendere una società per tanti versi disgregata all'imperversare di quello strategico (pubblicità, propaganda, etc.). L'altro impegno che vogliamo assumere insieme, e che costituisce in un certo senso una condizione del primo, è di ristabilire il rapporto vitale tra le parole e lo sguardo del cuore.
A proposito di questo sguardo il Vangelo dice che "l'occhio è la lampada del corpo: se il tuo occhio è sano, tutto il tuo corpo sarà nella luce. Se invece il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà nella tenebra. Se dunque la luce che è in te è tenebra, come la tenebra sarà intensa"(Mt 6,22-23).
L'occhio svela dunque il cuore della persona ma anche ne condiziona il modo di essere, è perché dal nostro sguardo sulla realtà dipendono i nostri atteggiamenti più intimi e segreti. Se lo sguardo si offusca oppure viene meno, in una frenesia attivistica e autoreferenziale, allora il cuore si inaridisce e non avendo più la capacità di comunicare veramente, diventa tragicamente muto. Proprio la frequente mancanza di un tale sguardo produce nella nostra società, così avanzata tecnologicamente, un fatto paradossale: all'aumento esponenziale dei mezzi non corrisponde un avanzamento della comunicazione. Si rischia di non comunicare affatto perché non c'è chi comunichi, non c'è niente da comunicare e forse non si mira affatto a comunicare. È a questo che si tratta oggi di reagire. E chi potrebbe farlo meglio di coloro che pongono la misura della loro fede nel Logos, nella parola vivente fatta carne?
Il ruolo dei cristiani, a me pare, non è di crearsi una loro comunicazione, ma di 'salvare' quella di tutti irradiando su di essa la verità del Verbo divino e umano e - a un tempo - in cui credono. Direi di più di abitare quella degli altri avendo il coraggio di distinguersi, di non lasciarsi coinvolgere nella mischia di tanti parlatori non comunicatori. Di qui il bisogno che i mezzi di comunicazione di cui essi hanno la gestione diretta, ma quelli in cui il cristiano opera, fungano da modelli praticabili e ammirevoli anche per quelli dei 'laici'.
Solo così ha senso nell'esergo del giornale cattolico la dicitura, talvolta contestata: "Per amare quelli che non credono". A voler evocare non una contrapposizione, ma piuttosto a cercare l'interlocutore di sempre e cioè quel mondo che Dio ha tanto amato da dare per esso la sua Parola. E - a pensarci - comunicare questa parola "a un mondo che cambia" è la missione della Chiesa, la nostra. Perché anche noi saremo giudicati dalle parole che avremo detto e dal bene che avremo fatto.
I giornalisti cattolici e gli operatori delle Comunicazioni Sociali festeggiano il loro patrono, San Francesco di Sales, nel cui nome oggi siamo qui raccolti. Nel giorno della sua memoria, il 24 gennaio, viene diffuso il messaggio del Santo Padre per la 51^Giornata delle Comunicazioni Sociali, che si celebrerà il prossimo 28 maggio, dedicato quest'anno proprio alla comunicazione di una nuova speranza: "«Non temere, perché io sono con te» (Is 43,5). Comunicare speranza e fiducia nel nostro tempo", è infatti il tema proposto da Papa Francesco per quest'anno.
In un comunicato a commento del tema, la Segreteria per la Comunicazione osserva che "anestetizzare la coscienza o farsi prendere dalla disperazione sono due possibili malattie alle quali può condurre l'attuale sistema comunicativo. È possibile che la coscienza si cauterizzi, come ricorda Papa Francesco nella Laudato si', a causa del fatto che spesso professionisti, opinionisti e mezzi di comunicazione operando in aree urbane distanti dai luoghi delle povertà e dei bisogni, vivano una distanza fisica che spesso conduce a ignorare la complessità dei drammi degli uomini e delle donne".
"È possibile - prosegue la nota - la disperazione, invece, quando la comunicazione viene enfatizzata e spettacolarizzata, diventando talvolta vera e propria strategia di costruzione di pericoli vicini e paure incombenti. Ma in mezzo a tale frastuono si ode un sussurro: 'Non temere, perché sono con te'. Nel suo Figlio, Dio si è reso solidale con ogni situazione umana e ha rivelato che non siamo soli, perché abbiamo un Padre che non dimentica i propri figli. Chi vive unito a Cristo, scopre che anche le tenebre e la morte diventano, per chiunque lo voglia, luogo di comunione con la Luce e la Vita. In ogni avvenimento cerca di scoprire cosa succede tra Dio e l'umanità, per riconoscere come Egli stesso, attraverso lo scenario drammatico di questo mondo, stia scrivendo la storia di salvezza".
"Noi cristiani - conclude il comunicato - abbiamo una 'buona notizia' da raccontare, perché contempliamo fiduciosi l'orizzonte del Regno. Il Tema della prossima Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali è un invito a raccontare la storia del mondo e le storie degli uomini e delle donne, secondo la logica della 'buona notizia' che ricorda che Dio mai rinuncia ad essere Padre, in nessuna situazione e rispetto ad ogni uomo. Impariamo a comunicare fiducia e speranza per la storia". Ad usare parole che abbiano il sapore della verità e la forzo della luce che infonde speranza. A far si - e qui cito il nostro Arcivescovo, che mi perdonerà - che le nostre parole siano non "ferite, ma feritoie" entro le quali possa insinuarsi la luce della speranza.
Sull'importanza dei mezzi di comunicazione siamo tutti d'accordo; meno evidente, senza dubbio, è la realizzazione della loro funzione di operare per l'elevazione morale e civile della società. Proprio per questo va sempre affermato che accanto al ruolo di informare vi è anche quello di formare: una pura e semplice informazione, priva di qualsiasi tensione verso la verità e il bene comune, sarebbe infatti poco utile all'uomo in quanto tale.
Per un giornalista è senza dubbio più facile limitarsi alla cronaca. In tal caso non mancherebbe di fare il suo mestiere, ma mancherebbe certamente di essere un portatore di valori ed un autore di verità.
San Francesco di Sales, che dal 1923 è patrono dei giornalisti cattolici, spirito acuto, giurista, teologo, dotto umanista, soprattutto santo, dedicò tutta la sua vita alla missione di illuminare le coscienze ed indicare la strada per la ricerca della verità, fu precursore dell'informazione cattolica moderna: scriveva "Memoriali", foglietti settimanali, per spiegare con un linguaggio semplice ed efficace le verità di fede; li affiggeva sui muri e li faceva scivolare sotto le porte.
Tra le ragioni più profonde, che stanno alla radice della felice attribuzione di patrono dei giornalisti cattolici, c'è appunto l'appassionato amore per la verità evangelica unito al suo desiderio di elevazione sociale e allo straordinario dinamismo apostolico.
Il laicato cattolico deve in parte a lui i primi lineamenti della sua spiritualità e del suo impegno nel mondo. Su questo aspetto sappiamo quanto il Concilio Vaticano II abbia insistito, riconoscendo ai laici un compito attivo e originale nella Chiesa e nel mondo. È un dovere per tutti i credenti, impegnarsi nelle varie strutture ecclesiali, sociali, politiche, economiche, culturali per animarle di spirito cristiano, portando quell'Umanesimo di cui Francesco fu maestro.
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