C’è ancora l’adolescenza?

19.04.2024

don Salvatore Rinaldi e Chiara Franchitti

Di fronte all'eterno enigma del rapporto educativo adulti-adolescenti, si pone il rischio di una cecità pedagogica che, in ultima analisi, misconosce o nega un'infinità di risorse presenti nel mondo adolescenziale e, con una visione di parte e probabilmente comoda, inibisce dimensioni di intraprendenza, di creatività, di partecipazione. La nostra epoca, è denominata da alcuni "l'epoca delle passioni tristi", l'epoca della fragilità, ove al centro dei rapporti e delle relazioni ci stanno le emozioni e bisogni passeggeri e brevi, determinando rapporti tristi, basati su valori fugaci e poco motivanti. Le emozioni, allora, prendono spesso il sopravvento sulle altre caratteristiche della personalità, condizionandone i comportamenti, fino a giungere a fenomeni caratterizzati da nuove malattie psichiche, come le nuove dipendenze da gioco, dallo shopping, da Internet ecc. 

Siamo in una nuova fase di secolarizzazione, in cui si registra l'emergenza del soggetto, dell'individuo. La fragilità sociale dunque è soprattutto fragilità dei rapporti veri e solidali. L'individuo si percepisce come autoreferente, teso a realizzare il proprio desiderio e incentrato sul proprio interesse. A questo proposito, Zygmund Bauman descrive la nostra società, come società di "turisti consumatori", in cui vige il primato del "fare esperienze", per perseguire il desiderio in modo narcisistico. Come dice giustamente Enzo Bianchi: 

«è una società senza un orizzonte comune, senza la preoccupazione della solidarietà e della percezione dell'altro in vista di un bene comunitario» (Bianchi 2009).

Ma il punto sta proprio qui: sa questa società qual è il bene comune? Abbiamo smarrito per strada il bene e il male? Se accendiamo la televisione c'accorgiamo come il tempo dedicato al "Grande Fratello" è simile a quello dedicato al problema della fame. Aveva ragione Ricoeur quando diceva: «Il problema di oggi è che noi non parliamo più del bene e del male». E senza aver chiaro il bene e il male, anche l'orizzonte delle nostre passioni ed emozioni scompare. E allora dove le porteremo? Verso quale meta orientare tutto ciò che è umano? E soprattutto i nostri ragazzi adolescenti, considerati spesso immaturi infantili hanno ancora un posto in questa società? Non rischiamo di etichettarli trascinati dal vortice di una società che non ha più tempo per loro? 

«L'immaturità è un elemento essenziale della salute nell'adolescenza».

Le continue lamentele sull' immaturità dei nostri ragazzi sono lo specchio di una società che non ha più tempo, perché non possiede il tempo dell'attesa, dell'incontro, dello stupore. C'è una sola cura per l'immaturità, e cioè il passare del tempo e la crescita verso la maturità che solo il tempo può portare, alla fine tutte queste cose possono risultare nel sorgere dell'individuo adulto. Senza avere chiare queste cose, non si comprenderà mai a fondo la preziosità di questo periodo, che, se compreso, contiene in sé enormi ricchezze e potenzialità. La società di oggi invece cerca di rendere adulti nostri bambini e ragazzi, senza cogliere la preziosità presente nel loro tempo di crescita. Se gli adulti abdicano, il ragazzo diventa adulto prematuramente attraverso un falso processo. È quello che abbiamo sott'occhio tutti giorni quando veniamo a contatto con notizie riguardanti persone adulte che commettono azioni riprovevoli, paragonabili a quelle di "bambini che scherzano col fuoco". 

Molti genitori infatti si sentono spesso smarriti di fronte alle prolungate manifestazioni di richieste di attenzioni e cura da parte dei figli anche in età avanzata. Se una volta infatti genitori e gli educatori si trovavano a dover gestire la trasgressione di ragazzi quindicenni che tendevano a scappare di casa alla ricerca di un'emancipazione e autonomia tipiche dell'età, oggi il fenomeno è opposto: vi sono molti figli trentenni che non hanno la benché minima intenzione di lasciare la famiglia. Dunque di fronte ad una società senza limiti e senza confini, ove tutto è possibile, ove i punti di riferimento sono spesso labili anche le manifestazioni tipiche dell'adolescenza, caratteristiche del passaggio da uno stadio infantile a quello adulto, sembrano assenti, senza sintomi. Tutti cambiamenti comunque sono preludio di una crisi, chiamata "crisi di identità", che sostanzialmente porta alle domande di fondo che prima o poi l'adolescente arriva a porsi e cioè: "chi sono io? Chi voglio essere?". 

Il mondo esteriore non è fatto, solo di scuola o di famiglia (anzi diciamo di famiglie per il fenomeno ormai diffuso di separazioni, divorzi ecc.), ma soprattutto delle varie relazioni che, anche se sono ancora mediate dai genitori, tendono ad essere sempre più autonome. Soprattutto nel campo dell'affettività della sessualità occorre aver chiaro che siamo di fronte ad uno smarrimento molto forte. E la televisione e i media si stanno sempre più appropriando non solo dei comportamenti dei ragazzi, ma soprattutto della loro stessa vita. Si vedono infatti ragazzi che sono in grado di rapportarsi con gli adulti come se fossero al loro stesso livello, ma allo stesso tempo li ritroviamo incapaci di gestire le minime frustrazioni e soccombere di fronte alle minime responsabilità. Quello che è più evidente è la mancanza di capacità di "sostare sulle cose", di rimanere a lungo sugli eventi, di tenere un sufficiente impegno di fronte alle difficoltà della vita. Questa difficoltà di vivere fino in fondo la realtà si chiama oggi "superficialità", mancanza di profondità e di senso. 

La profondità del pensiero nasce dal sostare in modo sufficiente sui concetti, sui pensieri, in poche parole di dedicare un tempo appropriato agli stimoli che, perché vengano compresi devono essere pochi, chiari e semplici. Quali ideali presentiamo ai nostri figli per crescere? «Il dramma di oggi è che noi non parliamo più del bene del male... Non diciamo più ai nostri figli chi sono... Perché non sappiamo più chi stiamo (Ricoeur 2004). Quando non si sa più per "cosa vivere" o meglio per "chi vivere" le cose prendono il posto delle persone diventano l'assoluto. "Sembra aleggiare un po' ovunque un'aria di sconfitta, di paura, di rassegnazione di fronte alla complessità e anche all'arroganza dei media che spesso viene fatta propria da chi li usa, come l'apprendista stregone... C'è infine una stanchezza dovuta alla complessità della vita di oggi..." (Intervista a Paolo Bustaffa in "Emergenza educativa" ed. La Scuola, Brescia 2008).

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