Camara, morto di sfruttamento e indifferenza.

29.06.2021

di Deborah Ciccone

Si chiamava Camara Fantamadi, aveva 27 anni, era originario dl Mali. Era arrivato in Italia 3 anni fa, su un barcone pieno di uomini e sogni. Residente ad Eboli, si era trasferito dal fratello nelle campagne di Tuturano, una frazione del comune di Brindisi.

Lavorava nei campi, ha lavorato anche il 26 giugno, prima di accasciarsi a terra e morire.

Ha perso la vita sulla strada del ritorno, dopo ore di duro lavoro, accanto alla bici che avrebbe dovuto riportarlo a casa. Quando i soccorritori, allertati da un passante, sono giunti sul posto, il cuore di Camara aveva smesso di battere. Non ha retto al caldo, alla stanchezza, allo sfruttamento. 

A seguito della tragedia, il sindaco di Brindisi, Riccardo Rossi, ha emanato una ordinanza che vieta di svolgere qualsiasi tipo di lavoro nei campi del comune di Brindisi, dalle ore 12:00 alle ore 16:00, e ogni qualvolta che la mappa del rischio dell'Inail indicherà il pericolo di alte temperature.

Nelle scorse ore è arrivata anche l'ordinanza Regionale emanata dal presidente Michele Emiliano a vietare il " lavoro in condizioni di esposizione prolungata al sole, dalle ore 12:30 alle ore 16:00 con efficacia immediata fino al 31 agosto 2021".

Ma Perché agire solo dopo la tragedia? Perché deve essere una ordinanza a garantire la sicurezza? Esiste già una legge a tutela della salute del lavoratore, basterebbe rispettarla o farla rispettare. Il datore di lavoro ha il dovere di adottare tutte le misure necessarie per creare un ambiente di lavoro sano e sicuro.

In Europa l'agricoltura rientra, da sempre, nei settori economici più pericolosi per i lavoratori, ogni anno 400-500 persone perdono la vita. Nel 2015 Paola Clemente morì, a 49 anni, nei vigneti di Andria, per 2 euro l'ora. Anche quella tragedia portò all'approvazione della legge per il contrasto al caporalato. Ma ad oggi, quella dei braccianti agricoli resta una categoria estremamente fragile. Considerati lavoratori si serie B, piegati per ore, sotto il sole cocente, raccolgono il cibo che arriva sulle nostre tavole, sfruttati, sottopagati, senza diritti, invisibili. Costretti a vivere, quasi sempre, in condizioni disumane, sotto ricatto, donne e uomini trattati come bestie in cambio di pochi euro.

Vi è un forte legame tra lo sfruttamento lavorativo e le condizioni di vita e salute precarie.

Il provvedimento di regolarizzazione emanato durante l'emergenza pandemica, si poneva l'obiettivo di regolarizzare le persone che vivono nell'invisibilità, anche per facilitarne l'accesso al Servizio Sanitario Nazionale. A distanza di un anno solo il 5% delle 207 mila domande presentate è giunto nella fase finale della procedura. Gli invisibili sono rimasti invisibili.

Si torni a parlare di lavoro, seriamente. A tutelare il lavoratore, i suoi diritti, la sua dignità. A punire severamente chi sfrutta, chi fa di un lavoratore uno schiavo.

Camara è morto di sfruttamento e indifferenza.

In Mali tornerà, grazie ad una colletta organizzata dalla comunità africana, il corpo di un ragazzo morto sul lavoro, che era arrivato in Italia a bordo di un barcone, con il sogno di una vita più dignitosa.

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