Cambiare, una sfida allettante

19.03.2024

di don Salvatore Rinaldi e Chiara Franchitti

Non c'è dubbio: "cambiare" si presenta all'uomo e alla donna di oggi come una sfida avvincente ed allettante: accolta (o scelta) per passione, o forse perché è «giunto il momento di farlo», o ancora perché se ne percepisce il bisogno e perché si desidera attuare una svolta netta e significativa alla propria vita. Ma a volte, non lo dimentichiamo, può trasformarsi in una condizione che si subisce forzatamente perché costretti a fare i conti con eventi della vita imprevisti e non anticipabili (basti pensare all'attuale crisi economica). Ai nostri giorni, tuttavia, cambiare pare dipingersi come un atteggiamento necessario e indispensabile, soprattutto se si intende restare a galla nelle acque confuse della nostra cultura. Facciamoci caso: si cambia, oramai quasi senza accorgersene, il cellulare, il Pc, l'i-Phone, il tablet... perché ormai vecchi e pronti ad essere sostituiti con quelli di nuova generazione; si cambiano con altrettanta rapidità le pratiche sociali, gli usi, le abitudini e, ancor più frequentemente, le relazioni e la loro qualità. Cambiare in modo giusto significa, dunque e fondamentalmente, cambiare la nostra maniera di guardare ad altri (e di guardare ad Altro). 

Ma cosa vuol dire, intanto, cambiare la nostra maniera di guardare ad altri? Si può guardare ad altri in due modi, si può trattare altri come risorse per conseguire determinati vantaggi o un certo benessere. Cioè si può trattare altri come oggetti di consumo, esattamente come si fa per i vari prodotti che servono a riempire il carrello al supermercato. L'altro può essere poi "consumato" in vari modi: può essere sfruttato nel lavoro, può essere abbandonato all'indigenza, può essere disprezzato, può essere brutalizzato e torturato, può essere tradito o calunniato ecc. Oppure l'altro può essere "riconosciuto" nella sua grandezza di persona e fatto oggetto non solo di rispetto, ma anche di attenzione amichevole. Attenzione di chi prende sollecitudine per il bene dell'altro. In un certo modo, ne ha cura; in un certo modo, lo protegge e lo libera dal male. Nella quotidianità gli adolescenti sono assediati da mille richieste di cambiamento. Difatti molti comportamenti a rischio nell'adolescenza assumono il significato di un rito di passaggio. 

Non è affatto raro tra i giovani il bisogno di compiere qualcosa di eccezionale, o anche solo una bravata per dimostrare a se stessi, prima ancora che agli altri, di "meritare" di vivere. Accade ancora oggi ciò che è sempre accaduto nel passato. Possono sembrare sicuri di sé, provocano e si comportano da spacconi, ma intimamente hanno bisogno di una prova, di un segno, di una conferma. Quando la prova arriva e la superano, traggono da questa esperienza la sensazione corroborante non solo di avere dalla propria parte la sorte ma anche di avere dei meriti, ossia un insieme di energie positive da mettere in campo per affrontare il mondo, ottenere considerazione e rispetto. Ciò diventa ancora più vero quando in precedenza ci sono stati dei fallimenti o delle delusioni che, dando visibilità alle proprie intime insicurezze, ne aumentano la portata. 

Nell'infanzia le forze protettrici sono i genitori, nell'adolescenza bisogna contare molto di più su di sé, sul merito e sulle capacità personali. Si sente dire da molti adolescenti oggi: vogliamo riuscire nella vita, vogliamo "sfondare", avere successo, fare soldi, diventare visibili a tutti in Tv, acquistare potere. Anche se lasciarsi cambiare suona oggi quasi un insulto, perché questo tipo di cambiamento viene associato ad una sorta di plagio. L'educazione ricevuta dai nostri genitori e dai nostri maestri è da rubricare da questa parte. Da questa parte però è da rubricare, anzitutto e soprattutto, il rapporto con Dio, cioè poi la qualità della nostra vita interiore. Che è essenzialmente un cambiamento passivo. Un cambiamento, comunque, che non viola la libertà, perché può avvenire solo se da noi liberamente accolto. Questo cambiamento poi dilata lo spirito, perché porta con sé e in noi una realtà che è più grande di noi. 

Nella ricerca del proprio valore e della propria identità molti adolescenti scelgono di misurarsi a livello fisico in azioni concrete. Più delle femmine, i giovani maschi sopportano male la passività, che per loro è sinonimo di infantilismo e vulnerabilità. I rivolgimenti che subiscono, all'interno del proprio corpo e nell'aspetto fisico, li fanno a volte sentire passivi e imponenti: una sensazione che detestano e da cui cercano di liberarsi. Agire, prendere i rischi, passare all'atto, è dunque per loro un modo per assumere un ruolo attivo e mantenere alta la stima di sé. Il problema nasce quando le prove sono troppo rischiose (alcol, droga, velocità, giochi distruttivi...) e invece di aiutare a costruirsi spingono verso una china pericolosa. 

Offrire ai giovani la possibilità di affermarsi e di mostrare il proprio valore è dunque uno dei compiti della collettività, la quale, nell'indicare dei raggiungimenti possibili, dei rischi calcolati, e degli strumenti per affrontarli, è anche attenta all'integrità fisica e psichica della propria gioventù. Si può dire, senza cadere in un luogo comune, che la nostra società è ossessionata dal cambiamento. Ma da quello attivo, che tende alla visibilità, al successo e alla realizzazione economica. Dal lato opposto, tuttavia, brilla un'altra prospettiva: il lasciarsi cambiare. Da qualcuno che ci accoglie e ci supera. E che ci aiuta a saper ricevere e donare.

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