Campobasso, la beffa della metro leggera: 22 milioni per un’infrastruttura fantasma
Tre stazioni nuove, chilometri di linea ammodernata, nessun treno in vista. Un progetto nato vecchio, progettato male, abbandonato nel silenzio delle istituzioni. Dietro la vetrina, il vuoto. E a pagare siamo sempre noi.
di Ma.Go.
Mentre il governo ci inonda di parole come "transizione ecologica", "Alta Velocità", "PNRR", qui in Molise ci tocca assistere all'ennesima farsa. Una di quelle tragicommedie all'italiana, dove si spendono milioni per costruire l'invisibile. Sì, invisibile. Perché io la "metropolitana leggera" di Campobasso l'ho cercata. Ho percorso quei 41 chilometri tra Matrice e Bojano. Ho visto le stazioni nuove, i binari sistemati, la segnaletica scintillante. Ho visto tutto, tranne i treni.
Già, perché in un Paese che pretende di fare le Olimpiadi dell'innovazione, qualcuno ha pensato bene di costruire un'infrastruttura ferroviaria… senza i treni. Ripeto: nessun treno. Zero convogli. Neanche uno. Nel piano economico da oltre 22 milioni di euro – soldi pubblici, cioè nostri – non c'è traccia di acquisto, né di noleggio, né tantomeno di un accordo per farli passare, questi benedetti treni. Un'opera pubblica ferroviaria senza il ferro che si muove. È come aprire un ospedale e dimenticare i medici. Come inaugurare una scuola senza aule. Un monumento all'assurdo.
Il grande bluff del rilancio
Mi sono letto tutto. Documenti, delibere, relazioni tecniche. Ho parlato con chi ha lavorato al progetto e con chi, da pendolare, lo avrebbe voluto usare davvero. Quello che emerge è un disastro annunciato, una di quelle genialate burocratiche che nascono già morte, ma che vengono comunque portate avanti per alimentare il circo delle inaugurazioni e delle passerelle.
Lo sapevano tutti – tutti! – che quella tratta avrebbe servito forse cinque passeggeri al giorno, quando andava bene. Lo scrivevano persino nei rapporti ufficiali. Ma niente: si è andati avanti lo stesso, come un treno (quello sì, metaforico) senza freni e senza destinazione.
E oggi cosa ci resta? Tre stazioni deserte, chilometri di linea che nessuno percorre, e un conto annuale da 2 milioni di euro di gestione, anche se non c'è nulla da gestire. Soldi bruciati. E silenzio.
Binari morti e coscienze spente
Per rendere tutto ancora più grottesco, parte del tracciato – ad esempio la linea Campobasso-Termoli – è chiusa, dismessa, dimenticata. Cioè, non solo mancano i treni: mancano anche i binari su cui dovrebbero passare.
Siamo di fronte a un'opera che, nella migliore delle ipotesi, non avrebbe mai potuto funzionare. Un errore tecnico, logistico, politico. Eppure è stato fatto. Perché? Per chi? A beneficio di cosa?
Le stazioni ora sono presidiate solo da erbacce e ruggine. Le porte automatiche si aprono su un vuoto che fa quasi paura. Una scenografia perfetta per un film distopico. Peccato che non sia fantascienza. È cronaca. È Italia.
Tutti responsabili, nessuno colpevole
Le firme sui documenti ci sono. I nomi anche. Ma provate a chiedere conto a qualcuno. Il silenzio è assordante. La Regione scarica sul Ministero, il Ministero su RFI, RFI su Trenitalia. E il cittadino? Il cittadino può solo guardare – e pagare.
Lo sdegno qui a Campobasso è tangibile. La gente ha smesso di arrabbiarsi. È passata oltre. Perché questa non è nemmeno più una sorpresa. È la norma. È il solito schema: spendi, costruisci, inaugura, dimentica.
Se fosse successo altrove...
Immaginate per un secondo se questa vicenda fosse successa a Milano, a Bologna, a Napoli. Apriti cielo. Speciali televisivi, indignazione social, interviste indignate. Ma questa è Campobasso. È Molise. Una terra comoda da ignorare, perfetta per i grandi esperimenti a perdere. Un luogo dove tutto può accadere, tanto poi non se ne accorge nessuno.
E allora tocca a noi raccontarlo. Perché questa "metro leggera" è un simbolo pesantissimo. Pesa sulle tasche, pesa sulla dignità di un territorio, pesa sulla coscienza di chi, in nome dello "sviluppo", ha solo fatto propaganda.
Chi ha deciso? Chi ha firmato? Chi ha taciuto? Io non ho tutte le risposte, ma una cosa è certa: qualcuno dovrà pur rispondere. Prima o poi.
