Cari Roberti e Di Santo, per il gioco delle tre carte siamo un po’ troppo grandi
Presidio del Sindaco di Isernia Castrataro, in tenda davanti all'Ospedale "Veneziale" in segno di protesta contro un irrazionale piano di razionalizzazione. Diversi i Sindaci della Regione scesi in strada a sostegno. Che non sia tempo che i molisani svestano i panni del servilismo e si decidano a pretendere il riconoscimento dei propri diritti?
di Paolo Scarabeo
In Molise la sanità non è in difficoltà: è sotto gli occhi di tutti che sta arretrando. E arretra da anni, con una direzione precisa. Non per fatalità, non per colpa dei territori, non perché le città sarebbero "poco attrattive", ma come conseguenza di scelte politiche che hanno progressivamente svuotato il sistema pubblico, lasciando spazio ad altro.
Il presidio del sindaco di Isernia, Piero Castrataro, davanti all'ospedale "Veneziale" nasce da qui. Non è una messinscena e nemmeno un gesto simbolico fine a sé stesso. È il punto a cui si arriva quando ogni interlocuzione istituzionale si rivela inutile, quando le risposte sono sempre rinviate, diluite, spostate altrove. È il segno evidente di una frattura profonda tra chi governa il sistema sanitario e chi vive quotidianamente le sue conseguenze.
Non a caso, accanto a Castrataro, in strada e davanti all'ospedale, sono scesi molti sindaci della provincia e della regione, senza esitazioni e senza calcoli. Altri, ancora più numerosi, hanno espresso in forme diverse la propria vicinanza e il proprio sostegno. Un segnale politico chiaro, che va ben oltre il singolo episodio: quando amministratori di territori diversi si riconoscono in una stessa protesta, significa che il problema non è locale, ma strutturale.
La reazione della Regione e dell'Asrem, affidata a un comunicato - risibile e mistificatorio - che tenta di ribaltare la realtà, dice molto più di quanto forse si voleva dire. Si prova a spostare il problema: non la programmazione, non il commissariamento infinito, non le carenze strutturali, ma la città. Isernia sarebbe poco viva, poco accogliente, poco capace di trattenere i medici. Una spiegazione comoda, quasi elegante nella sua semplicità, se non fosse completamente scollegata dai fatti.
Perché la verità è che il Molise è commissariato dal 2007. Quasi vent'anni durante i quali la sanità regionale è stata devastata, ha perso personale, reparti, prospettiva. Ospedali provinciali trasformati lentamente in contenitori svuotati, pronto soccorso diventati l'unico approdo possibile per cittadini che non trovano risposte altrove, territori interni lasciati senza una rete sanitaria degna di questo nome.
I medici non mancano perché Isernia non è attrattiva. Mancano perché il sistema non offre condizioni di lavoro sostenibili, perché le équipe sono incomplete, perché le carriere sono bloccate, perché si chiede di reggere carichi enormi in strutture fragili, con le stesse retribuzioni di contesti molto più organizzati. Mancano perché la programmazione nazionale delle specializzazioni è stata fallimentare e perché nessuno ha costruito politiche serie per rendere davvero competitive le aree interne.
Attribuire tutto questo ai sindaci è un rovesciamento della realtà. I primi cittadini non assumono personale, non decidono le reti ospedaliere, non gestiscono il commissariamento. Possono però fare ciò che stanno facendo: non tacere. Esporsi. Difendere i propri territori quando diventano l'anello debole di un sistema che scarica verso il basso le proprie responsabilità.
Il punto vero, quello che continua a essere eluso, è un altro. Ogni arretramento del pubblico apre uno spazio. E quello spazio non resta vuoto. Viene occupato dal privato che in questi anni ha assorbito circa il 50% delle risorse. Viene occupato da chi può permettersi di pagare, da chi è costretto a spostarsi, da chi rinuncia alle cure. È un modello che si costruisce nel tempo, senza proclami, ma con decisioni precise e coerenti.
Non si tratta solo dell'ospedale "Veneziale". Si tratta di Agnone, di Larino, di Venafro, di Termoli. Si tratta di un'intera rete sanitaria regionale che sta perdendo pezzi, mentre si continua a raccontare che il problema è altrove, sempre altrove.
I comunicati non bastano più. Gli annunci nemmeno. Chi governa la sanità in Molise non può continuare a nascondersi dietro le parole, né a spostare il bersaglio. La realtà è visibile nei pronto soccorso affollati, nei corridoi pieni, negli operatori sanitari allo stremo, nei cittadini costretti ad arrangiarsi.
A forza di spostare le responsabilità, qualcuno dovrebbe accorgersi che il gioco è finito. E che, questa volta, non c'è più nessuno disposto a fingere di non vedere. Speriamo se ne accorgano presto anche i molisani e smettano di andare via, svestano i panni del servilismo che indossano da troppo tempo e si decidano e pretendere il riconoscimento dei propri diritti!




