Chi spiegherà la guerra ai bambini?

01.03.2022

di Egidio Cappello

Chi spiegherà la guerra ai bambini? Chi darà dignità razionale alla follia? Chi azzarderà risposte allo stupore delle giovani generazioni? Chi proverà a fare ipotesi cancellando libri di storia ed esperienze passate così chiare ed eloquenti? Quale vocabolario userà, quali espressioni e quali parole, per spiegare eventi che non rientrano nel registro della vita? Chi racconterà la paura e l'angoscia di gente che scappa nei rifugi, di gente ferita, disorientata, abbandonata a destini privi di ogni certezza? Chi troverà le parole per dire che la guerra è stata scelta dall'uomo per uccidere l'uomo? In che modo dirà che cose non importanti condizionano e sporcano il valore sacrosanto della vita? Chi dirà che nel cielo viaggiano rabbiosi ordigni di distruzione e di morte? Chi annuncerà loro la fine del tempo dei giochi e delle passeggiate nei parchi? Chi sarà esente dal terrore del racconto?

I bambini non capiranno mai.

Non capiranno che gli adulti possano scegliere un gioco che distrugge, che dà sofferenze, che azzera la vita e la riduce a cosa di poco conto. Non capiranno le separazioni e le fughe dalle proprie case, le nuove nascite nei sottopassaggi, non capiranno le ansie, le paure, non leggeranno pienamente i volti dei loro familiari, non capiranno la precarietà dei loro luoghi né coglieranno il senso e il perché del fronte, non capiranno il perché della chiusura delle scuole, della chiusura delle chiese, non capiranno il perché del terrore che abbatte gli animi quando si leva in alto il rumore infausto della sirena che annuncia l'arrivo dei tentacoli della morte. Spiegare la guerra non si può. Chi lo fa, necessariamente è costretto a fermare il proprio racconto e dire "non lo so".

Quante cose non si capiscono della guerra, oltre le ragioni economiche, oltre le convinzioni politiche e ideologiche, oltre le storie e le diversità etniche, oltre le religioni, oltre le leggi, le lingue, le convinzioni, le culture. Per spiegare la guerra la ragione deve uscire da se stessa ed entrare nei meandri degli istinti primordiali dell'uomo. In questi non alberga la ragione, non ci sono le leggi della ragione, non c'è la tendenza all'unità e alla composizione che costituisce il fondamento delle attività razionali, non c'è la tendenza al bene che accompagna e corrobora il percorso della ragione. La guerra nasce nei sottofondi di un mondo lontano, fatto di scenari oscuri, di parole senza senso, di progetti senza spirito.

Nel mondo degli istinti, non si percepiscono voci umane, non c'è gente che dialoga, non si sentono vagiti di bambini, non trovano spazi le sofferenze degli ammalati e dei bisognosi, non c'è il bene tra le esigenze comuni. È drammatico che queste cose succedano e caratterizzino anche i periodi di pace. È inumano e del tutto incomprensibile che in tempo di pace ci si prepari alla guerra. Un capitolo dell'economia di tanti Stati è dato dalla produzione delle armi, sempre più belle, più sofisticate, più potenti e più capaci di distruggere. C'è sempre un gruppo di uomini che è lì, che le guarda, le cura, le tutela, le conserva: è lì che riflette e aspetta. Anche le armi qualificano il prestigio di un popolo e ne manifestano il potere di fronte al mondo.

Anche la verità finisce con il passare attraverso gli arsenali.

La pace è tremenda: reprime ma non distrugge gli istinti dell'uomo, quelli della violenza e della prevaricazione. Questi istinti covano sotto la cenere e aspettano la propria liberazione dalle catene della pace. E' bene parlare ai bambini dei lupi che sono nei boschi e nelle città, così da difendersi da essi e, cosa ancora più importante, che non diventino essi stessi i lupi in un prossimo futuro. E' bene educare i bambini alla pace, formarli alla difesa autentica della pace, costruendo ancora di più la pace, coinvolgendoli nell'unica progressiva storia dell'intera umanità. E' necessario l'uso di un vocabolario appropriato che escluda ogni termine che sa di offesa, di gronda di sangue, che sprigiona angoscia e paura. Non c'è niente che dà senso alla vita senza relazioni di fraternità e di unità universali.         

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