Comunicare incontrando le persone come e dove sono

23.01.2021

Relazione per la Formazione permanente dei Giornalisti dell'OdG Molise, del nostro direttore

Domenica si celebrerà la 55^ Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, e come ogni anno lo si fa nel giorno in cui la Chiesa celebra la memoria di San Francesco di Sales. Credo sia bella l'iniziativa che da qualche anno anche il nostro Ordine regionale sta proponendo, facendoci ritrovare insieme per approfondire la figura del santo, ma soprattutto per un confronto che a partire dalla sua esperienza possa arricchire la nostra.

Il tema su cui ho pensato di riflettere con voi questo pomeriggio è "Comunicare incontrando le persone come e dove sono", che poi è il sottotitolo del Messaggio del Santo Padre per la Giornata delle Comunicazioni Sociali, il cui tema quest'anno è "Vieni e vedi", e in cui il Papa auspica una informazione che sia esperienza, contatto, incontro.

"Vieni e vedi". Queste parole, che l'apostolo Filippo rivolge a Natanaele, sono centrali nel Vangelo: l'annuncio cristiano prima che di parole, è fatto di sguardi, testimonianze, esperienze, incontri, vicinanza. Ed è la dimensione che il Santo Padre affida anche a noi giornalisti per sottolineare come fondamentale sia portare la comunicazione in una dimensione di reciprocità.

San Francesco di Sales può essere una figura importante in questa riflessione. C'è un punto, infatti, che ci accomuna. Egli vive un passaggio d'epoca come lo stiamo vivendo noi. Ed è per questo che Egli va considerato come un "uomo ponte" che ha testimoniato la sua fede in un contesto ostile. Davanti ai problemi nuovi che sfidavano la Chiesa e il mondo non ha dato risposte vecchie. E già qui credo sia necessario chiederci, come giornalisti cattolici, in che modo stiamo raccontando l'innegabile momento di difficoltà in cui la Chiesa per un verso e il mondo per un altro stanno vivendo.

A me sembra che questo possa essere davvero l'argomento. Il punto cioè cu cui interrogare il tempo che stiamo vivendo e chiederci in che modo noi, cronisti lo stiamo raccontando. Un tempo che vive una forte crisi culturale, in cui programmi come la Grande Bellezza vengono sospesi perché non hanno seguito e la finale del GF Vip è già alla terza proroga.

Nel cambio epocale che stiamo vivendo, in un tempo che ci obbliga alla distanza sociale a causa della Pandemia, la comunicazione può rendere possibile la vicinanza necessaria per riconoscere ciò che è essenziale e comprendere davvero il senso delle cose.

E sarà tanto più vero, tanto più costruttivo questo senso, nella misura in cui sappiamo assumerci - come giornalisti - la responsabilità di comunicare con l'obiettivo di costruire relazioni. E queste relazioni saranno tanto più vere e costruttive, quanto più con la nostra comunicazione sappiamo raggiungere ed incontrare l'uomo dove e come si trova.

Ancora oggi, troppo spesso, siamo più impegnati a cercare di avere impatto che non a costruire relazioni, siamo cioè più presi dalla smania dell'agone che non impegnati nel tentativo di offrire un servizio che sia fondato su verità, imparzialità e continenza.

Penso a quei tanti programmi serali in cui la veemenza della pars destruens, il tentativo cioè di demolire l'avversario è tale e tanta che l'eventuale proposta quasi non si percepisce.

L'informazione può avere due risvolti: può essere una informazione che vuole avere impatto o che tende a costruire relazioni:

Dunque, Arrivare bene, coinvolgere, meravigliare, attivare: sono i quattro verbi di una comunicazione davvero orientata ad incontrare le persone come e dove sono.

Se andiamo a guardare l'esperienza di Filippo, da cui prende tema il Messaggio del Santo Padre, che Giovanni racconta al capitolo 1, vv. 43 e seguenti, ci rendiamo conto perfettamente di come siano proprio questi 4 verbi ad animare l'operato di Filippo.

Filippo non ha avuto l'interesse di posizionarsi rispetto alla Notizia Gesù di Natareth, non è voluto arrivare primo. Ha voluto invece arrivare bene, presentare bene la Notizia a Natanaele.

Non ha voluto far abboccare Natanaele per portarlo dalla sua parte, ma lo ha coinvolto nella dinamica dell'incontro che egli aveva fatto.

Non ha cercato di scioccare Natanaele, ma ha destato in lui la meraviglia che quell'incontro gli aveva fatto sperimentare.

Dunque, non ha cercato la reazione di Natanaele, ma lo ha attivato: "Vieni e vedi".

Questo dinamismo non solo apre la strada ad una corretta informazione, ma riconosce un valore straordinario alla Notizia stessa, chiedendoci in qualche modo di ri-orientare il nostro racconto verso la bellezza. Verso cioè un giornalismo che sappia rifarsi proposta.

Oggi, raccontare la bellezza sembra essere passato di moda. Ovunque si poggi il nostro sguardo, ovunque si diriga la nostra attenzione, ci scopriamo circondati dal racconto del male. E anche quando raccontiamo il bene, c'è sempre chi riesce a sporcarne la freschezza.

Mi hanno colpito molto le parole del direttore del quotidiano "Avvenire", Marco Tarquinio, che al festival della comunicazione dello scorso settembre ha detto: "Nel picco della pandemia, tutti dovevamo raccontare il male che accadeva ma anche ciò che di buono cominciava ad accadere. Ci siamo trovati all'improvviso con tanti concorrenti a fare il lavoro che facciamo ordinariamente".

In pari modo, mi colpisce molto ogni giorno scorrere le bacheche dei Social Media, così come guardare i programmi in tv in questo tempo: sembra la mappa di un campo minato. Ogni tentativo di raccontare il vissuto si è facilmente trasformato in un processo, spesso alle intenzioni, con sentenze di condanna. E non di rado abbiamo visto giornalisti - anche di fama - non solo criticare proposte, ma lanciarsi in attacchi personali contro chi quella proposta stava facendo.

(Se fossimo in una platea non lo direi, ma qui posso, e mi viene in mente ad esempio l'intervista di Lucia Annunziata a Maria Elena Boschi. Penso che quel video debba diventare "libro di testo" alla scuola di giornalismo per dire come non si fa).

Penso per esempio a certi titoloni di Libero e del Giornale. Appare evidente come troppo spesso l'avere impatto prevalga sul costruire relazioni.

Questo tipo di informazione, anima del talk show, ci sta propinando uno scenario di tutto e il contrario di tutto...sempre sbagliato.

Indossare la mascherina fa bene, anzi no, fa male! Disciplinare gli orari dei negozi è un bene, anzi no, è la tomba dell'economia. Gli assembramenti vanno evitati, anzi no, anzi forse...anzi però voglio andare a sciare e così via... ed è stato così per tutto. Spesso l'informazione ha abdicato al suo ruolo di mediazione e approfondimento per darsi allo spettacolo.

Abbiamo purtroppo visto troppe volte l'informazione vestirsi dei colori della politica e farsi serva di chi quei colori indossava... spesso dimentica di essere "il cane da guardia", per rivestire i panni in un "cane da presa", riservando attacchi personali e spesso invadendo ambiti che nulla hanno a che fare con la verità dell'informazione. Una informazione che - lo ripetiamo - dovrebbe avere come presupposti verità, imparzialità e continenza e che invece troppo spesso, come afferma il Papa nel Messaggio, indossa gli occhiali dei potenti per darsi ad un racconto di parte.

La pandemia ha cambiato molto la vita del nostro paese, la vita di ciascuno di noi e anche in un certo qual modo l'informazione e in modo di fare informazione.

Tutti ci siamo trovati di fronte alla necessità di fare delle rinunce, di ridisegnare la nostra vita, il nostro lavoro, persino i nostri affetti. Molti si sono trovati di fronte ad una realtà che non hanno saputo interpretare, lasciandosene avvinghiare. Molti altri hanno interpretato questo tempo con la superficialità di chi ostenta sicurezza in tutto e si sente autorizzato a fare tutto, spinto anche dall'imprudenza di chi invece avrebbe dovuto dare un esempio altro. Alcuni invece hanno rilanciato, non si sono fatti fermare.

Abbiamo, poi purtroppo, assistito inermi alla morte di decine di migliaia di nostri connazionali, al dolore di uomini e donne che non hanno potuto nemmeno rivolgere l'ultimo saluto al proprio papà, alla propria mamma, al proprio coniuge, ad un figlio, ad un amico. Abbiamo assistito con rabbia al fallimento di tante attività commerciali. Abbiamo assistito e assistiamo, quasi impotenti, al teatrino di una politica che non riesce davvero ad interpretare appieno il suo ruolo. Abbiamo visto in nostri rappresentanti più preoccupati di "farsi le scarpe" l'uno con l'altro che non di mettere davvero "mano all'aratro" per dare una spinta ad un paese in grandissima difficoltà. Di contro abbiamo ammirato il coraggio e la dedizione di tanti uomini e donne che a spregio di qualsiasi rischio hanno dato tutto di sé per il bene di molti: medici, infermieri, parasanitari, uomini e donne delle forze dell'ordine, volontari, sacerdoti, insegnanti. Un esempio che abbiamo ammirato tutti e che però non è riuscito ad incidere come avrebbe voluto e dovuto...anche perché forse, o senza forse... al di là del dato emozionale non siamo andati davvero, ne abbiamo parlato troppo poco... e forse in questo l'informazione deve fare una forte autocritica e capire se davvero ha saputo rendere un servizio che fosse "al servizio", e chiedersi come sta raccontando tutto questo.

Abbiamo assistito nei giorni scorsi alla follia dei fatti d'America, l'emblema della democrazia, provocati dal delirio di onnipotenza di un uomo che ha perso del tutto il contatto con la realtà, che ha frainteso (e non da ora) il suo ruolo di Presidente confondendolo con quello di un monarca assoluto, che non ha saputo lasciar trionfare la bellezza della democrazia preferendo il lato oscuro del potere a tutti i costi. A fronte di questo abbiamo assistito, purtroppo sulle reti di Stato, anche all'uscita mal sana di un giornalista di fama internazionale etichettare la ex first lady come "la escort di Trump", a testimonianza di quanto liquido sia il confine tra una informazione di impatto e una informazione votata a costruire relazioni.

Nondimeno però abbiamo avuto anche molti, moltissimi esempi di informazione virtuosa, tesa alla costruzione di relazioni, e in questo ambito abbiamo capito che i media riescono ad interpretare l'anima del tempo che viviamo e che stare vicino alle persone cercando di interpretare i fatti può fare la differenza. E' grande la responsabilità di chi fa informazione, soprattutto in momenti così complessi. La pandemia ci insegna che non si può raccontare solo il male della società. Dobbiamo avere il coraggio di proporre il bene, di raccontarlo di promuoverlo in tutti i contesti.

L'informazione ha la grande responsabilità di farsi formazione, di essere fermento, di contrastare le spirali di odio che troppo spesso tentano (e a volte riescono anche) di prendere il sopravvento; deve avere il coraggio di raccontare il bene e il bello che ci abita, la premura di arrivare bene, coinvolgere, meravigliare, attivare.

Allora, e solo allora secondo me, l'informazione avrà saputo assolvere davvero al suo compito nella società, comprendendo che comunicare è incontrare le persone come e dove sono. Nel contesto epocale che stiamo vivendo, così fortemente caratterizzato dalla "distanza", l'informazione può rendere possibile la vicinanza necessaria per riconoscere ciò che è essenziale a comprendere davvero il senso delle cose.

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