Cosimo Colella. Il segno archeologico della modernità

07.12.2021

Le opere più recenti dell'artista al "Civico 141" di Cassino

di Rocco Zani

Il Professore ha il fiuto capillare di chi, per anni, ha osservato e annusato l'origine di talune idee. Ha avvertito, prima dell'epilogo, quali fossero le capacità - o le possibilità - del pittor giovane, l'evoluzione verosimile di una vicenda espressiva, le utilità del sogno, l'ingannevole apparenza. E ha collezionato storie, tracce, nomi da consegnare agli interlocutori magnanimi nelle ore grasse dei suoi ineffabili monologhi. Una sorta di mago circense che dispensa luci, afflati, arrotate saggezze. Chi ha voglia - e tempo - di curiosare nel suo cilindro scoprirà il senso di quelle storie, delle tracce, di quei nomi.

Il Professore ritaglia il tempo cancellando le esclamazioni inutili o inseguendo, fino allo stremo, un'ipotesi corretta. Basta ascoltare. E ridefinire poi i tasselli del puzzle. All'improvviso il suo assolo pare materializzarsi per presenze definite, per opere apparse, per figure di carne ed occhi.

La storia di Cosimo Colella, pittor giovane e scultore di razza, nasce anch'essa da quel salottiero percorso. Dapprima accenni minuti, manciate di reperti occasionali, curve della mano a dettare ipotesi celate. Da qui - come sempre accade - la curiosità del cantastorie a corto di nenie o di luoghi non ancora depredati. L'ho conosciuto a metà degli anni novanta Cosimo Colella, figura fantasiosa a metà strada tra gli umori di una storia di quartiere - confinata, immobile, timida, domestica - e le flagranze del mito americano già a quel tempo sfiorato per soste intriganti. Lui, dal volto nordico - percorso da giochi rossastri di basette estreme - e da un corpo che lo immedesima ancora oggi - per geometrie sensate - con l'origine contadina. Un'origine che trova concretezza finanche nel luogo dell'appartenenza. Un territorio che non si identificava per contrade o città, per vie o piazze, ma inteso, nella memoria di tutti, come "terra di lavoro". Un luogo indefinito la cui storia era una sacca di piaghe remote, di fatica corporea, di silenzio epocale. Lui, il "picaro", decise di andar via e non già per rotte rassicuranti e generose.

Il primo strappo fu Firenze, ovvero l'antitesi della propria esistenza consumata. Quando, più tardi, gli chiesi di rinnovare il ricordo degli anni fiorentini, mi rispose, con esplicita immediatezza, "a Firenze facevo pittura". Ecco, "fare pittura" ha un sapore - ma soprattutto un significato - assai più complesso e intimo di "dipingere". E' un sentire ampio, catartico, compiuto, in cui l'artista raccoglie e codifica ogni "occasione", attribuendo perfino alle ore, all'ombra, alla compassione o al riso, una vera e propria cifra espressiva. Il racconto "accademico" di quel tempo preannuncia i ritmi e i segni della scrittura a venire. Finanche il realismo dogmatico delle tele d'esordio servirà a lui, in seguito, a decifrare i volumi e i contenuti dell'universo che ha scelto di narrare.

Colella trova nel "viaggio" - e quindi nel confronto - il filtro essenziale di tutta la sua poetica pittorica. Come se uno spazio elastico si dipanasse di continuo dall'epilogo di una storia appena consumata restituendogli luce, stimoli, voci di un inedito continente.

L'ho conosciuto a metà degli anni novanta Cosimo Colella, riapparso nella sua terra di origine dopo il lungo viaggio americano. E anche in America aveva "fatto pittura" repertando ogni presumibile visione, il disincanto, la vivacità assordante di una storia agli antipodi, la solitudine immersa nel vociare metropolitano. E ogni "tela di appartenenza" rinnovava il senso di una dilatata partecipazione. Con un segno quasi "archeologico", retaggio e privilegio, forse, di un passato essenziale, Colella "scriveva" - si, scriveva proprio - la quotidianità proiettata, il caos liberatorio, il tempo collettivo e quello abitato.

Le opere di quel periodo sono piccoli scrigni narrativi sopraffatti da un'incessante stratificazione di immagini. Il loro "adempimento visivo" - solo in apparenza accidentale - restituisce all'interlocutore una dimensione seducentemente ludica. La tela di Colella è un osservatorio dettagliato delle nostre dimenticanze, delle zone d'ombra, dei tempi sopraffatti. Tutto viene costruito per segni estremi, bambineschi, libertari, colmi di colore lucente. Quasi una filastrocca moderna affollata di forme e gesti, di dissacranti ritualità. E al centro di questo universo impenitente l'uomo - ovvero "l'ominide" - celato tra gli arbusti della nuova foresta metropolitana: l'uomo-aquilone, l'uomo-arcobaleno, l'uomo-luna.

L'ho seguito, in questi anni "italiani", ribadire sulla tela quelle sue fantasiose certezze, i suoi labirinti cromatici, il senso multiforme del movimento. Il "viaggio" - e da qui il confronto - è una sua condizione perpetua, al di là delle rotte seguite davvero; un criterio mentale, intimo, compiuto. Ha continuato a navigare nel suo studio immaginando, per ogni giorno speso, l'accento incombente dei suoi "ominidi", gli umori, i richiami oltre le mura.

Poi è scomparso di nuovo, senza clamori o addii, certo comunque del buon ritorno. Ne avevo perso le tracce. In seguito, le immagini delle sue ultime tele "canadesi" ne hanno ridefinito la presenza. Ancora più vitale, sviluppata, generosa. Sono le opere dipinte a Montreal in questi lunghi mesi di "silenzio". Sul retro un segno inconfondibile e un messaggio breve: "Torno tra poco".

Una vita in viaggio

Dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Cassino, Cosimo Colella si diploma in Tecniche d'Arte Visuale all'Accademia di Belle Arti di Firenze. Nel 1990 si trasferisce in Canada e per un lungo periodo ha contatti significativi con artisti, critici e galleristi americani. Un'esperienza, questa, che segna in maniera determinante la sua percorrenza espressiva. La Galleria "Claude la Fitte" di Montreal si fa suo punto di riferimento allestendogli due mostre personali di grande rilievo. Dopo il 1° premio al Concorso Internazionale di Pittura di Fes, in Marocco, Colella presenta le sue opere alla rassegna "Art and Works" di Hong Kong e alla Prima Biennale di Malta. Tornato in Italia divide il suo tempo tra l'attività pittorica e un nascente interesse per la scultura. Nel 1998 il Palazzo dell'Unione Industriale di Frosinone, nell'ambito di un nutrito ciclo di mostre, ospita una sua personale dal titolo "La finestra variante". Sempre in quell'anno apre, nel piccolo centro di San Pietro Infine, uno studio di ceramica artistica dove sperimenta la sua "scrittura pittorica" in un contesto di metamorfosi materica. Dopo una lunga permanenza in Italia riparte per il Canada. Nel novembre 2002 espone le sue opere più recenti in una personale di grande successo alla Galleria "Gora" di Montreal. Negli ultimi anni la sua ricerca si è sviluppata su un marcato riepilogo della cifra cromatica.

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