Cutro, lo Stato si volta dall’altra parte. E la Calabria si arrende in silenzio
di Mario Garofalo
C'è un'Italia che finge di non sapere. Che seppellisce le verità sotto la sabbia, sperando che il mare si porti via tutto: i corpi, il dolore, il ricordo. Poi c'è la Calabria, che oggi fa da specchio a quell'Italia. La sua Regione ha deciso di ritirarsi dal processo sulla strage di Cutro. Ha scelto di non costituirsi parte civile. Di non esserci. Di tacere.
È un passo che pesa. Non solo in tribunale. Pesa nei cuori, nella coscienza, nella memoria collettiva. Novantaquattro morti, tra cui tanti bambini. Famiglie distrutte a pochi metri dalla riva. Uomini e donne annegati sotto gli occhi di uno Stato che sapeva, che poteva intervenire, ma ha aspettato. E adesso, invece di cercare risposte, le istituzioni si tirano indietro.
Il motivo? Un presunto rispetto per le forze dell'ordine. Ma da quando la ricerca della verità è una mancanza di rispetto? Da quando chiedere giustizia è un problema da evitare? Chi ha visto quella spiaggia ricoperta di scarpe, vestiti, pupazzi, sa che lì non si è solo consumata una tragedia: lì è affondata una parte di umanità. Oggi, con questa scelta, affonda anche la dignità di chi dovrebbe rappresentarla.
La Regione Calabria avrebbe potuto mandare un messaggio diverso. Avrebbe potuto dire: "Noi ci siamo. Pretendiamo chiarezza." Invece ha scelto il silenzio. Il disimpegno. Un'assenza che grida. Che divide ancora di più le istituzioni dalla realtà delle persone.
È sempre la stessa storia. Quando ci sono di mezzo verità scomode, lo Stato si ritrae. Si fa prudente. Lascia soli i morti e chi li ricorda. Ma la memoria non è una formalità. È un dovere. E oggi, come ieri, scegliere di non vedere significa essere complici.
La giustizia non è una pratica da archiviare. È una responsabilità. E la storia non dimentica chi, pur potendo fare la cosa giusta, ha scelto di non farla.

