Cutro, lo Stato si volta dall’altra parte. E la Calabria si arrende in silenzio

16.05.2025

di Mario Garofalo

C'è un'Italia che finge di non sapere. Che seppellisce le verità sotto la sabbia, sperando che il mare si porti via tutto: i corpi, il dolore, il ricordo. Poi c'è la Calabria, che oggi fa da specchio a quell'Italia. La sua Regione ha deciso di ritirarsi dal processo sulla strage di Cutro. Ha scelto di non costituirsi parte civile. Di non esserci. Di tacere.

È un passo che pesa. Non solo in tribunale. Pesa nei cuori, nella coscienza, nella memoria collettiva. Novantaquattro morti, tra cui tanti bambini. Famiglie distrutte a pochi metri dalla riva. Uomini e donne annegati sotto gli occhi di uno Stato che sapeva, che poteva intervenire, ma ha aspettato. E adesso, invece di cercare risposte, le istituzioni si tirano indietro.

Il motivo? Un presunto rispetto per le forze dell'ordine. Ma da quando la ricerca della verità è una mancanza di rispetto? Da quando chiedere giustizia è un problema da evitare? Chi ha visto quella spiaggia ricoperta di scarpe, vestiti, pupazzi, sa che lì non si è solo consumata una tragedia: lì è affondata una parte di umanità. Oggi, con questa scelta, affonda anche la dignità di chi dovrebbe rappresentarla.

La Regione Calabria avrebbe potuto mandare un messaggio diverso. Avrebbe potuto dire: "Noi ci siamo. Pretendiamo chiarezza." Invece ha scelto il silenzio. Il disimpegno. Un'assenza che grida. Che divide ancora di più le istituzioni dalla realtà delle persone.

È sempre la stessa storia. Quando ci sono di mezzo verità scomode, lo Stato si ritrae. Si fa prudente. Lascia soli i morti e chi li ricorda. Ma la memoria non è una formalità. È un dovere. E oggi, come ieri, scegliere di non vedere significa essere complici.

La giustizia non è una pratica da archiviare. È una responsabilità. E la storia non dimentica chi, pur potendo fare la cosa giusta, ha scelto di non farla.

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