"Decreto Caivano", non basta la repressione, serve educare e avere cura dei giovani
Occorre una vera stagione costituente di politiche sociali autentiche, non bastano i Daspo. Occorre tenere dentro, non spingere fuori!
Il pugno duro del Governo Meloni dopo i "fatti" di Caivano (e Palermo) prende forma nel "Decreto Caivano" licenziato ieri dal Consiglio dei Ministri. Una serie di provvedimenti volti ad inasprire le pene che, se da una lato, ci verrebbe da dire "Giusto. E' giusto che chi delinque paghi e se sei un minore e delinqui come un adulto, paghi come un adulto", dall'altro di mette di fronte ad una domanda di senso assai importante ovvero: può una società aver paura dei suoi ragazzi, dei suoi figli? Eppure, nonostante le affermazioni ricorrenti sulla necessità anzitutto di educare, di fronte alla gravissima crisi che i nostri adolescenti stanno attraversando, la risposta che viene data invoca più che altro punizioni, strette alle regole, bonifiche. Segno di una paura che attraversa le nostre città di fronte ai comportamenti violenti, all'aggressività, agli attacchi del "branco". Alcune misure proposte, in realtà, sfiorano la forma di meri slogan, come quella di "togliere il telefono ai violenti"... basterebbe pensare nel merito che i minori in Italia vanno al distributore delle sigarette con la tessera sanitaria dei genitori per capire che troverebbero la soluzione al "sequestro" in pochi minuti.
Non che la paura in molti casi non sia giustificata. I comportamenti degli adolescenti in gruppo incutono timore (non solo tra i maschi, ma anche tra le femmine aumenta massicciamente il consumo di alcol e droghe). Non a caso nei conflitti e nei genocidi spesso vengono usati giovanissimi soldati, se non bambini, proprio per la loro drammatica e infantile crudeltà. Basterebbe leggere gli studi sul profondo sconvolgimento neuronale e non solo ormonale dell'età per capire il loro bisogno di eccitarsi con il rischio. Ma il fatto che spesso debbano essere in gruppo per esprimere tanta rabbia e infliggere tanto dolore – a ragazzine inermi, a coetanei, a persone che vivono in strada – fa capire la loro insicurezza. La debolezza e la fragilità, anche di poveri animali, li respinge e allo stesso tempo li aizza.
Se consideriamo i segnali di infelicità che molti ragazzi lanciano, specie dopo il Covid, non è difficile capire che ci stanno chiedendo ascolto e aiuto nel decifrare e combattere i demoni e i fantasmi che si portano dentro. L'aumento esponenziale dell'autolesionismo, del disagio mentale, della dipendenza da gaming parla chiaro.
Forse bisogna riflettere su quanto siano il nostro specchio, nella paura della sofferenza, nella voglia di violare per sfogare la rabbia. E su come dietro l'apparente somiglianza dei gesti di cronaca ci siano differenze che richiamano fortemente la responsabilità degli adulti: il mercato facile e il consumo di droghe e alcol anche da parte dei colletti bianchi, la dipendenza dagli smartphone appresa dai genitori stessi, che – come è ampiamente provato – diminuisce drammaticamente la capacità di provare empatia, l'incuria delle periferie, il sesso pornografico "normale" diffuso dai media, la negazione di dignità e cittadinanza alle nuove generazioni di immigrati.
Assumersi le responsabilità degli adulti non significa deresponsabilizzare i ragazzi, anzi. Più si ricorre a soluzioni che li vedono "oggetto" di provvedimenti apparentemente severi, più li si sta in realtà assolvendo senza chiedere loro più coscienza e impegno.
Mettiamo quindi i minori in cima all'agenda politica e sociale - la nostra idea è che occorra una stagione costituente di politiche sociali autentiche che coinvolga Istituzioni e mondo delle Associazioni in modo integrato, senza che queste si preoccupino troppo solo del proprio orticello -, ma senza bisogno di rassicurare l'opinione pubblica con misure inutili ad arginare fenomeni così complessi. Quindi ci si occupi della dispersione scolastica con attenzione prioritaria, aprendo le scuole il pomeriggio e mettendo al centro il merito degli insegnanti (non degli alunni) formati in modo adeguato alla complessità dei problemi: i nuovi tutor con fondi Pnrr (uno ogni 30-50 studenti) devono essere più specializzati. Bene i fondi alle scuole del Sud ma non vengano usati per le carenze della normale gestione. Bene la sospensione che non escluderà da scuola ma verrà svolta all'interno dell'istituto o facendo volontariato, più che i vari Daspo: tenere dentro, non spingere fuori.
Ci si concentri sulle assenze frequenti, predittive dell'abbandono, si colleghino le scuole ai servizi sociali (insufficienti) per cercare i ragazzi uno per uno, si sostengano le "Barbiana di oggi" del terzo settore. Diamo la cittadinanza italiana ai minori stranieri nati o cresciuti in Italia. Più educatori e educatrici di strada e centri di quartiere per le "baby gang". La riforma della legge sul cyberbullismo del 2017 (era necessaria?) potenzi le misure educative senza strizzare l'occhio ai casi di violenza contro gli insegnanti. Rigore e severità, questo sì, vanno esercitati contro il business delle dipendenze e per i controlli sulle piattaforme digitali. Altrimenti, come sempre, si rischia di essere forti solo coi deboli.
La risposta deve essere una corale discesa in strada, non portare i ragazzi in carcere!
