Dopo Riace, Camini!

20.05.2021

Dietro la richiesta di 7 anni e 11 mesi di reclusione per Mimmo Lucano avanzata dalla procura di Locri nel processo "Xenia" ci sono tutte le motivazioni che hanno portato il pool di magistrati, a mandare alla sbarra l'ex sindaco di Riace e l'intero sistema d'accoglienza che gli è valso notorietà in tutto il mondo..
Il processo "Xenia" che vede appunto imputato l'ex sindaco e il sistema di accoglienza che ha reso Riace un paese universale, dall'opinione pubblica calabrese - fin da subito - è stato etichettato come "politico", anche perché sotto il profilo giudiziario si sono da subito palesate alcune lacune.

Prima il tribunale del Riesame di Reggio Calabria e poi la Corte di Cassazione hanno emesso delle sentenze che vanno nella direzione opposta a quella assunta dal gip di Locri che firmò l'ordine di arresto di Lucano nell'ottobre 2018. Nello specifico il Riesame ha stigmatizzato la scelta di porre agli arresti domiciliari Lucano poiché non ravvedeva «condotte penalmente rilevanti», mentre da parte sua la Cassazione ha escluso il reato di frode alla pubblica amministrazione a carico dell'ex primo cittadino.

Il procuratore di Locri, D'Alessio, ha voluto chiarire durante la requisitoria di qualche giorno fa che non si tratta di «un processo all'accoglienza. Non si è voluto contrastare il principio di accogliere le persone che arrivano da altri Paesi, dove vivono in condizioni di sofferenza. Questo ufficio non ha ricevuto alcun tipo di pressione, lavorando sempre con estrema attenzione e serenità», ma di fatto per Mimmo Lucano, che quel sistema lo ha creato, sono stati richiesti 7 anni, undici mesi e 10 milioni di risarcimento. Lui non ha difeso i confini. Ha accolto persone. Non ha applicato le leggi ingiuste dei burocrati, promuoveva i valori della nostra Costituzione.

Molti ora attendono il processo con trepidante curiosità! 

Il pathos sul prossimo processo subisce inoltre l'influsso dell'impegno politico dell'ex sindaco di Riace (che ha annunciato di volersi candidare al fianco di Luigi De Magistris alle prossime regionali), mentre ormai il destino del "borgo dell'accoglienza" sembra interessare pochi: oggi di quella Riace, infatti, non rimane quasi più niente: anzi, tantissimi simboli sono stati fisicamente divelti dal sindaco leghista Antonio Trifoli (decaduto poiché ineleggibile), con l'effetto immediato che l'esperienza di Mimmo Lucano, iniziata nel 1988 e protrattasi per 30 anni, rimane solo nelle cronache dei giornali ancor prima che un tribunale lo dichiari colpevole o innocente.

La Locride, però, ha imparato la lezione e ci riprova. Lo fa in un paese, Camini, distante appena due chilometri e mezzo da Riace e dove da diverso tempo è attivo un processo di accoglienza diffusa e integrazione socio-lavorativa di migranti, che stanno ripopolando il borgo dove ormai vivevano poco più di 200 calabresi, grazie all'impegno indefesso del Sindaco Pino Alfarano.

Sul «Modello Camini» si sono accesi i riflettori dell'università Tor Vergata di Roma che segue da molto vicino l'operato di istituzioni e associazioni del paese col fine di cogliere in tempo utile se ci siano anomalie di gestione, ma soprattutto per valorizzare una "buona prassi" che vuole superare le insidie del tempo e dimostrare che una corretta integrazione non può essere reato. In attesa che la giustizia faccia il suo corso nei confronti di Mimmo Lucano e dell'ormai ex "borgo dell'accoglienza" di Riace, ridotto a brandelli dalle inchieste e dallo sciacallaggio politico.

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