È stata la mano di Dio, il film più bello di Sorrentino

18.12.2021

È stata la mano di Dio non è il capolavoro di Sorrentino. Quello è La grande bellezza. È stata la mano di Dio è il film più bello di Sorrentino. Semplicemente.

di Giulia Abbati

Il film racconta la sua adolescenza: il ragazzo di Napoli di buona famiglia, sempre con le cuffiette alle orecchie, appassionato di Dante e ossessionato da Maradona. Tra momenti di allegria in famiglia e partite del Napoli, si snoda la storia tra i suoni del mare e i gol del Pibe de oro, tra il sacro e il profano. A metà del racconto una tragedia stravolge il registro e Fabio resta bloccato nel dolore senza riuscire a esternare alcuna reazione.

Sorrentino è un creatore di scenari esteticamente perfetti, ne cura la resa di tutti i sensi immergendoci in una bolla di emozioni che attaccano i nostri occhi, le nostre orecchie e il nostro cuore, lasciandoci come chi è stato travolto da un'onda e prova a rimettersi in piedi per guardare ancora l'orizzonte. Rispetto ai primi film, in cui l'aspetto onirico non era ancora presente, adesso va sempre più di pari passo con la realtà "scadente": il monaciello e San Gennaro concorrono per un risultato che è uno spettacolo che ci avvolge, per la prima parte del film, in una dimensione protetta e calda, che sembriamo conoscere. Chi ama Sorrentino, quando guarda una sua opera, si sente come se rientrasse a casa dopo un paio di settimane in giro: è come se conoscesse già ogni inquadratura, ogni espressione, è come sentirsi parte della pellicola e non spettatore... ma il vederla sullo schermo fa scattare ogni volta enormi sensazioni di stupore: è come se desse vita ai propri pensieri e alla propria parte più fragile. Ma stavolta ha fatto di più, stavolta ha raccontato la sua parte più fragile. Fabietto è Paolo a 16 anni, è il ragazzino che ha perso i genitori in un incidente nella baita di famiglia a Roccaraso e che ha deciso di raccontare quello che aveva da dire.

È stata la mano di Dio è un film diverso dalle pellicole di Paolo e lo notiamo immediatamente dal suono. La musica è stata sempre grande protagonista nei suoi film (basti pensare che ormai la hit remixata della Carrà è indissolubilmente legata al film premio Oscar), ma adesso è il silenzio assordante che riempie i momenti, i pensieri e i dolori di Fabio. Non abbiamo soundtrack, se non in un piccolissimo passaggio, ma godiamo dei rumori della sua adolescenza legati quasi unicamente ai suoni del mare. È un film introspettivo in cui la musica è sostituita dalla memoria. L'unica canzone presente (Napul è del grande Pino Daniele) chiude il film, in un momento di assoluta pace e liberazione. Già da questo capiamo l'assoluta onestà di Sorrentino che ci regala le sue emozioni più intime, facendoci percorrere una corsia preferenziale che ci porta dritti alle sensazioni di Fabio, che inizia a diventare grande, a vivere la sua sessualità...che già osserva la vita scadente attraverso occhi speciali, spettatore della misera commedia della vita che Paolo trasformerà in grande cinema. Il cinema che lui stesso ci confida essere il suo luogo sicuro, che gli permetterà la catarsi e il passaggio ad un mondo nuovo, superando il dolore della morte dei genitori.

Fa da coprotagonista a questo racconto la città di Napoli in tutti i suoi luoghi sonori, in tutti i suoi colori e in tutti i suoi personaggi, primo tra tutti Maradona: Messia di un popolo che lo venera, maestro di vita quando, in allenamento, segna sotto il sette una quindicina di volte di fila e il fratello di Fabio, estasiato, spiega che quella si chiama perseveranza. Come quella di Fabio nel trovare il modo di esprimersi e liberarsi del passato attraverso la meravigliosa conversazione con il regista Capuano, dopo la quale parte per Roma e saluta il monaciello, che rappresenta la sua adolescenza, rappresenta Fabio che saluta Napoli per diventare Paolo.

Un'autobiografia intima e piena d'amore, un viaggio via mare e via terra, il ritratto magico di un popolo, la continua alternanza di tragedia e comicità (così com'è la vita), la mano di Dio... di Maradona e della Curva B, che hanno salvato la vita di Paolo Sorrentino e hanno permesso a noi di prendere parte ai suoi viaggi estetici, struggenti, esilaranti, colorati, profondi...

È stata la mano di Dio è il film più bello di Paolo Sorrentino.

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