Ernesto Trapanese, il senso e l'effimero dell'incedere
di Rocco Zani
C'è forse un fatale filo conduttore, più o meno appropriato, che mi conduce da anni a "recuperare" - nei luoghi che considero della mia appartenenza - figure di artisti che altrimenti rimarrebbero relegate in universi distanti, precari, probabilmente sconosciuti. Non c'è un ragionevole modo per accertare la loro presenza, piuttosto un "sentire comune", misteriosamente predestinato, capace di metterci in relazione, ovvero di incrociare, curiosamente, l'ascolto reciproco.
Ernesto Trapanese lo avevo conosciuto sul lungomare di Terracina al termine di una estate rissosa e indolente. Un passo lieve, quasi silenzioso, talvolta spinto da un accento di vento o dalla frettolosa incandescenza dell'ultimo sole. Lui, probabilmente, dipingeva finanche nel racconto. O nei racconti spalmati lungo i passi delicati. Aveva compiuto più volte i "giri di giostra" di quella pittura novecentesca fatta di strappi e approdi insicuri, di scarti, di tregue, di affannose ripartenze. Aveva più volte ricapitolato la memoria, affidando ad essa, ogni volta con nuovi "assilli" linguistici, il prologo di un inedito e rinnovato incedere.
La figurazione sobria dei primi anni cinquanta del secolo scorso; la necessaria "usura" del segno e della forma nel decennio a venire; i successivi ritmi poetici affidati esclusivamente alla corporeità lieve delle cromie; fino - negli ultimi tempi - a quel desiderio di rigore (perfino morale) che lo aveva portato a coniugare, a mitigare, in una nuova dimensione espressiva, i contrasti, i tormenti, le verità nascoste "dissotterrate" lungo decenni di ascolto e di sguardo. Una pittura di misurati "accanimenti", talvolta simbolica, rendiconto o bilancio di un lungo attraversamento, umano e naturalmente artistico. Un autore a tuttotondo Ernesto Trapanese, capace di "poetizzare" - ovvero di affievolire il peso del superfluo - il dialogo tra il presumibile e l'arcano e farne soggetto o luogo di palpiti. Talvolta crudeli, assai spesso interrogativi.
E' andato via in punta di piedi, come aveva vissuto tutto il suo tempo di uomo e di artista. Dialogando con gli uomini e con la luna, con i bagliori inconsueti del mare e con le voci degli ultimi. Portando a riva ogni frammento dell'umana specie: il dubbio, l'intolleranza, la fragilità, il senso e l'effimero dell'incedere.
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