Eurovision 2026: quanto conta la libertà d’espressione?
di Camilla Novelli
L'EBU, organo deputato all'organizzazione
dell'Eurovision Song Contest (ESC), si è espresso pochi giorni fa riguardo
l'ammissione di Israele alla competizione canora: il Paese sarà ammesso anche
alla prossima edizione. Contemporaneamente a questo annuncio Spagna, Paesi
Bassi, Slovenia e Irlanda hanno deciso di ritirarsi dalla gara e boicottare il
festival. Dopo cinque giorni, anche l'Islanda ha seguito le orme delle altre
nazioni.
Già nell'ultima edizione la partecipazione di Israele era stata fortemente
criticata. Video di persone presenti fisicamente all'evento hanno registrato i
fischi e i cori che si erano alzati ogni qualvolta Israele veniva menzionata,
senza contare la forte contestazione subita dalla cantante Yuval Raphael che in
quel contesto rappresentava il suo Paese. Dissenso abilmente oscurato dalla
regia internazionale. Gli stessi cantanti partecipanti avevano espresso la loro
posizione a sfavore di Israele, a partire dal vincitore austriaco JJ con il suo
singolo "Wasted Love".
Le motivazioni ufficiali della scelta dell'EBU di continuare a sostenere Israele richiamano i valori fondamentali dell'ESC, nato per essere apolitico. Escludere il Paese significherebbe prendere una posizione attiva sullo scenario geopolitico, una decisione che il festival non vuole intraprendere.
La domanda che sorge spontanea a questo
punto è: perché, dopo l'inizio della guerra in Ucraina nel 2022 Russia e
Bielorussia sono state escluse dalla competizione per crimini di guerra, mentre
Israele no? C'è chi ha ipotizzato che dietro alla decisione ci sia l'interesse
di mantenere vivi i rapporti con Moroccanoil, azienda cosmetica israeliana e main
sponsor della competizione.
Oltre alle manovre economiche e politiche però, occorre riflettere in senso
esteso riguardo a decisioni così importanti. Un singolo individuo può essere
censurato per colpa della nazione da cui proviene?
Non riguarda solo la cantante israeliana, ma tutte le persone che sono state
escluse da competizioni per ragioni legate a vicende internazionali. Alle
olimpiadi di Milano-Cortina, gennaio 2026, non potranno prendere parte gli
atleti russi e bielorussi neanche sotto bandiera neutra, come era avvenuto per
le olimpiadi di Parigi 2024. Atleti di altissimo livello, come la squadra di
pattinaggio sul ghiaccio russa, dopo anni passati a prepararsi per questo
evento così importante, non sono stati ammessi ai Giochi dal CIO solo perché lo
Stato che rappresentano non è al momento esattamente "popolare". È davvero
giusto? Dopotutto, le persone sono persone. Un atleta russo è determinato e
competitivo come quello di un altro Paese. Una cantante israeliana può essere
brava quanto una spagnola.
È vero che, nel momento in cui si sfila su un palco con una bandiera, ci si fa portavoce di tutto quello che essa rappresenta. Nel caso specifico Yuval Raphael fa anche parte dell'IDF e si è espressa a favore delle politiche di Israele; non è stata certo costretta a partecipare all'Eurovision dalla propria nazione.
Eppure la sua canzone parla di un evento personale che l'ha segnata nel profondo: l'attacco di Hamas del 7 ottobre al festival musicale Supernova. Per otto ore è rimasta sepolta sotto alcuni cadaveri sperando di salvarsi e di non essere presa in ostaggio dal gruppo terroristico. Canta di "un giorno nuovo che sorgerà" e della speranza di un mondo migliore.
Un messaggio di pace può essere oscurato dai colori della bandiera del mittente?
La libertà di espressione può essere
limitata o deve sempre essere tutelata?
Il dibattito è ancora in corso.




