Francesco Bucciarelli, il volto di legno
di Rocco Zani
Conservo una foto dei primi anni ottanta, per nulla sbiadita, che ritrae un gruppo di pittori e scultori che hanno attraversato la storia dell'arte novecentesca di questo territorio. E di altre lande. C'è, tra gli altri, l'impassibile Giovannino Savani, un giovane e garbato Mario Palma; ci sono gli occhi da mareggiata di Nino Urciuoli, il sorriso dimezzato di Vittorio Miele, l'allegrezza di Ettore Gualdini e lo sguardo da chioccia di Daniele Majone. E in mezzo il voto legnoso di Francesco Bucciarelli come se ci fosse una correlazione quasi naturale tra la sua fisionomia e il suo fare.
Per tutto questo tempo Francesco Bucciarelli ha continuato a dettare pieghe e indizi sull'enigma dell'ulivo e dell'olmo restituendo all'occhio figure sotterranee, filiformi come giunchi o gravide di curve e pieghe. Collezionando un'umanità fatta di Cristi piegati, di volti incerti, di braccia smisurate. E di occhi planetari. Se non fosse scultore Buciarelli sarebbe un cercatore d'oro. Scopritore di scaglie minute, talvolta invisibili, quelle che vanno setacciate pazientemente tra risacche di inutilità. Fino a cogliere l'essenzialità dello sguardo. E del silenzio.
A ben guardare quelle di Bucciarelli non sono opere
autonome ma figliolanza progressiva di una unicità interminabile fatta di
tessere e cuori, di ombre e bagliori, di ossa e carne. Un'onda di voci narranti
direi, quelle di un "popolo in viaggio" di cui Bucciarelli trascrive i nomi e
le storie. Annotandone il transito.
©Produzione riservata
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