Giovani e Chiesa: un'appartenenza che sorprende

di Paolo Scarabeo
Nel cuore di una società che spesso racconta i giovani come disinteressati, smarriti o semplicemente assenti, accade qualcosa di inatteso. Non è un concerto, non è una moda virale, non è una protesta: è un raduno di fede. Un raduno con il Papa. Migliaia, milioni di giovani si ritrovano per pregare, per cantare, per condividere qualcosa che ha il sapore dell'eterno. La fede, oggi, diventa evento, non perché spettacolare, ma perché autentica.
E questo sorprende.
Sorprende chi pensa che la religione sia solo tradizione superata, retaggio di un passato che non ha più nulla da dire. Sorprende chi crede che i giovani abbiano occhi solo per lo schermo e cuore solo per se stessi. Invece eccoli lì: a cantare, ma anche a tacere. A esultare, ma anche a inginocchiarsi in adorazione. A cercare Cristo, non perché glielo impone qualcuno, ma perché ne hanno fame.
È qui che nasce una domanda urgente per tutti noi: che cosa hanno trovato questi giovani, che noi forse abbiamo dimenticato?
E c'è un'altra domanda, ancora più urgente e scomoda: perché quel milione di giovani che accorre ad un grande evento di fede non si riconosce, spesso, nelle nostre parrocchie?
Quella massa entusiasta, viva, adorante interroga profondamente le nostre comunità. Perché le chiese locali si stanno svuotando? Perché i giovani scelgono sempre meno la vita parrocchiale? Cosa manca nelle nostre liturgie, nei nostri linguaggi, nel nostro stile?
Forse è lì che va cercata la risposta. È lì che bisogna avere il coraggio di porsi la vera domanda della fede. Non basta che l'evento funzioni se la vita ordinaria non è abitata. Non basta un'emozione spirituale se non trova dimora nella comunità quotidiana.
E allora la sfida non è "richiamare i giovani", ma lasciarsi interrogare da loro. Cambiare prospettiva. Imparare a proporre non una religiosità di abitudini, ma un'esperienza viva, intensa, ecclesiale e profondamente cristocentrica.
La forza della Chiesa non è solo nella sua storia, ma nella sua sorgente. Duemila anni di persecuzioni, scismi, scandali, crisi. Eppure, la Chiesa è ancora lì, viva. Non per merito umano, non per ingegno organizzativo, ma perché fondata su una roccia che non si sgretola: Cristo. È Lui la sorgente, e quando la Chiesa è fedele a questa sorgente, riesce a parlare al cuore delle persone, soprattutto dei giovani.
Una fede senza compromessi, ma non moralista e meno ancora bacchettona. Una fede che libera, non che opprime. Una Chiesa che non offre facili consolazioni, ma una speranza concreta. Una comunità dove non si è soli, dove si può ancora chiamare qualcuno "padre" senza timore, dove si trova un popolo, non solo un'istituzione.

E poi, quel silenzio. Un silenzio che il mondo non capisce. Forse ciò che più colpisce è proprio questo: il silenzio. Quel silenzio adorante davanti al Santissimo Sacramento che diventa denuncia contro il rumore sterile del mondo. Quel silenzio in cui si riconosce la voce di Dio. I giovani, così spesso accusati di essere "vuoti", ci mostrano invece un vuoto diverso: quello che può essere riempito solo da Dio.
In un tempo dove il rumore copre la solitudine e l'apparenza maschera la ferita, il silenzio dell'adorazione diventa un atto rivoluzionario. Non è fuga, è radicamento. Non è chiusura, è apertura al mistero. Non è debolezza, ma forza.
La gioia dei volti, la forza del cammino, la freschezza dell'entusiasmo non sono ingenuità, ma testimonianza. I giovani ci ricordano che la vera tristezza non è credere in Dio, ma vivere senza di Lui. Non è la Chiesa a essere superata: è il cinismo, la disperazione, il disinteresse per l'altro. È antiquato il nichilismo, non la speranza.
Ed è proprio questa primavera spirituale, fiorita in un tempo spesso sterile, che va accolta, custodita, accompagnata. Perché non è solo entusiasmo passeggero, ma un segno dei tempi. Un segno che parla di un Dio che ancora chiama, che ancora affascina, che ancora salva.
Alla fine, la domanda resta: perché? Perché ancora oggi milioni di giovani scelgono Cristo? La risposta non è sociologica, né psicologica. È personale, esistenziale, spirituale. Perché Cristo è ancora vivo. E dove c'è vita vera, i giovani corrono.
Chi vuole capire, ascolti il loro silenzio. Chi vuole ripartire, ascolti il grido che viene dalle nostre parrocchie vuote. Chi vuole evangelizzare davvero, abbia il coraggio di lasciarsi evangelizzare.
