I limiti della cultura tecnologica
di Egidio Cappello
La pandemia ha alimentato l'elefantiasi del soggetto, malgrado l'imposizione, da parte delle Istituzioni, di medesimi quadri interpretativi e di medesime soluzioni per l'intera comunità. Il soggetto ha per lo più covato i propri bisogni pindarici nel silenzio, affidandosi alle dinamiche della cultura tecnologica e cedendo a istanze di natura economica e sociale. Mi sovviene la profezia del filosofo francese A. Comte, che nel "Corso della filosofia positiva" del 1832 aveva annunciato l'arrivo di una società della tecnologia con la scomparsa di ogni cultura della interiorità e di ogni linguaggio metafisico e teologico.
L'oggettività dei saperi sarebbe stata strappata all'autorità di fondamenti eterni e assegnata alla cultura della scienza, frutto dei bisogni del tempo. Per combattere l'oggettività dei saperi tradizionalmente assicurata dal ricorso alla trascendenza, il filosofo francese introduceva l'oggettività dei saperi scientifici, costruiti su congetture prettamente umane e legati ai percorsi culturali dei singoli. L'uomo di oggi, l'uomo che gestisce la vita delle comunità, si proclama padrone e garante della oggettività dei propri pensieri, che impone con la forza del proprio potere e del proprio prestigio sociale.
Oggi si vive una strana oggettività, fatta di particolarità e di parzialità, svuotata di senso unitario, altamente lesiva delle stesse attività della ragione, ridotta, quest'ultima, a laboratorio di composizione di saperi esperienziali e privata di ogni slancio spirituale e di ogni contatto con la trascendenza. L'uomo oggi ha abdicato al compito di dare la parola a tutte le cose, assegnatogli da Dio sin tra gli alberi di Eden, non è più creatore di saperi validi per tutti ma è operatore di pensieri limitati e chiusi all'interno del proprio recinto di azione.
Questa è la legge dei saperi tecnologici, la chiusura degli uni agli altri, con la conseguente agonia di ciò che unisce e crea condivisione.
Da ciò la sterilità delle relazioni familiari, la inconcludenza dei dialoghi scolastici, la nullità dei rapporti tra le Istituzioni politiche: tutte attività ancorate e legate ad una cultura della parzialità e della soggettività elevata a cultura della oggettività e della autorità. Il dialogo nel quadro dei saperi tecnologici è secondario e poco significativo.
Il dialogo ha le sue leggi e i suoi elementi fondanti. Il dialogo ha senso se scaturisce da una premessa: la consapevolezza dell'interlocutore di essere latore di un punto di vista parziale, da migliorare, integrare, completare attraverso l'accoglienza dei punti di vista di tutti gli interlocutori. Chi si prepara al dialogo deve percepire il bisogno di luce, il bisogno di capire di più, il bisogno di dare al proprio punto di vista la dimensione della unitarietà, della universalità e della verità.
Chi dialoga non ha già costruito la verità, non è depositario della verità: egli è costruttore, insieme con gli altri, della verità.
Come è bello, scrive Papa Francesco, non conoscere la risposta, al momento in cui ci viene posta una domanda.
E' bello costruire insieme la verità non vomitare immediatamente risposte possedute da tempo. Il dialogo è profondamente democratico o non è affatto. Tutti gli interlocutori intenti a dialogare, devono godere il possesso della parola e devono contribuire a creare lo spirito della condivisione da cui scaturisce la verità. La gradazione della verità dipende dalla gradazione della condivisione: la pienezza della verità deriva dalla pienezza della condivisione. Nei recinti dei soggettivismi la ragione è costretta, il linguaggio autentico è mutilato. Il tentativo di ridurre la ragione a ragione tecnologica, escludendo tutte le operazioni fondate sulla creatività e la libertà del pensiero, è una operazione offensiva della dignità umana ed è del tutto improponibile. L'uomo è impegnato oggi non solo a mantenere ma anche a promuovere lo sviluppo delle risorse che gli sono proprie a motivo della propria origine.
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