"Il jamboree è voglia di buttarsi, di mettersi in gioco, di essere coinvolti e coinvolgere". Intervista a Raffaele Iannarelli
Il giovane, unico molisano nel contingente italiano, ha preso parte all'importante esperienza internazionale del jamboree. Ne abbiamo raccolto il racconto.
di Chiara Franchitti
Dopo aver raccontato quello che altri hanno detto dell'esperienza al jamboree in Corea del Sud del giovane Raffaele Iannarelli, unico molisano a far parte del contingente italiano, abbiamo raccolto il racconto diretto del protagonista di questa straordinaria esperienza.
Raffaele, quali aspettative avevi prima di partire e come è stato nella realtà?
Farsi aspettative su un evento così grande è difficile anche perché è stato difficile immaginare, nei momenti prima di partire, cosa avrei fatto al jamboree. Mi aspettavo di rendere le mie giornate più piene possibili, girare per il campo e per le attività, uscire dalla tenda la mattina e tornarci la sera. Questo è lo spirito con cui il jamboree è alimentato: la voglia di buttarsi, di mettersi in gioco, di essere coinvolti e coinvolgere. Nella realtà il jamboree dà vita ad un grande paradosso per noi IST (International Service Team) ovvero sentirsi in solitudine tra 45.000 persone. Sembra assurdo ma il servizio ti porta ad allontanarti dal tuo contingente e passare le giornate con persone che non conosci, che non parlano la tua lingua, non sapendo neanche quale comportamento puoi avere con loro a causa delle differenze culturali. Il jamboree, sia per i partecipanti che per gli IST, è superare questo ostacolo e prendere il buono da qualsiasi situazione sentendosi a proprio agio. Mi sentivo parte della canzone "la strada" dei Modena City Ramblers quando: mi ritrovavo con i mei colleghi alla mensa prima di andare al lavoro, scherzavo con degli esploratori affamati perché il cibo non arrivava, correvo per i sottocampi perché mi ero perso, parlare di quando sia buona la guinness con degli irlandesi, venire preso in giro a lavoro perché in qualche momento di sclero la mia italianità si è fatta sentire; sedersi e parlare con degli sconosciuti durante i pasti; vagare per il sito del jamboree e stendersi all'ombra (la poca che c'era) per dormire.
Che atmosfera si respirava al campo, cioè in "cosa" ti sentivi immerso?
IST e partecipanti vivevano due atmosfere diverse: quando loro sono arrivati noi IST venivamo da tre giorni difficili dove già si parlava del ritiro di alcuni contingenti, dell'emergenza caldo e della scarsità dei servizi. Vedere il sito riempirsi, la macchina del jamboree in azione per accogliere tutti i partecipanti è stato qualcosa di impagabile: camminare per strada e sentire i reparti cantare, andare a visitare le tenda Italia per ballare e giocare a biliardino oppure scherzare con gli esploratori italiani durante i turni di lavoro. L'incontro con la loro realtà per noi IST è stato benefico: ci ha fatto capire cosa stavamo costruendo, il loro entusiasmo ha cambiato il nostro approccio e ha trasformato una realtà dove ci si muoveva solo per il lavoro, ci si difendeva dal caldo stando negli spazzi comuni in una in cui si sfidava il clima, si giravano le tende e le food house, si vagava per il sito per provare le attività, si sfidava il fisico per fermarsi il meno possibile e vivere il campo.
Anche i partecipanti hanno accusato il muro linguistico e culturale tra le nazioni ma hanno dato prova di saperlo superare: ho vissuto poco il cultural day perché facevo servizio ma un aneddoto molto interessante è quando l'ultima sera dei reparti UK al jamboree nel mio sottocampo è stata organizzata una cena comunitaria tra 6 nazioni che hanno aderito nello spazio comune dove si facevano i fuochi serali.
Fare dei fuochi scout al jamboree era impossibile per via dei diversi modi di intendere il fuoco infatti sia noi che i partecipanti passavamo le serate accompagnati dalla musica e dalle danze, in quella circostanza si sono riuniti intorno a dei loro compagni che avrebbero dovuto lasciare il campo per passare una serata insieme portando cibo tradizionale.
Riguardo il cultural day: non l'ho vissuto in maniera immersiva, dato che ero a lavoro, ma l'idea in cui in un giorno tutto il campo si fermi e si allentino le restrizioni del SFH (safe from harms, un regolamento per evitare contatti tra IST e partecipanti reputato troppo stringente e forse contro producente) è forse il centro di tutto il jamboree. I reparti hanno preparato le loro attività da mostrare ai visitatori per far conoscere il proprio paese.
Hai avuto difficoltà e come le hai superate?
Ci sono state numerose difficoltà che hanno portato le federazioni a ritirare o a non far partire i propri contingenti. Personalmente ho avuto tante difficoltà la prima dovuta alla natura dispersiva del campo e all'assenza di internet per i primi tre giorni che mi hanno portato a vivere questi giorni in solitaria, altre sono fisiche: in primis legate al clima: un caldo torrido e un sole battente che sorgeva alle 5 del mattino costringendoti a lasciare la tenda alle 6.30-7 per il troppo caldo, contiamo la mancanza di punti ombra nel campo e otteniamo un luogo in cui passavano circa una decina di ambulanze l'ora e la possibilità di incontrare gente dormire in mensa o nei punti dove potevi trovare ombra. Il luogo dove abbiamo fatto il campo era una ex palude soggetta ad allagamenti (che sono avvenuti) con una grande quantità di zanzare, In ultimo è stata denunciata la grande mancanza di servizi per accogliere noi IST nei primi giorni.
Come detto le difficoltà del Jamboree sono state molte ma abbiamo vissuto l'evento con spirito di squadra e condivisione non solo all'interno del contingente ma tra tutti gli IST e partecipanti. "Danza la vita" potrebbe essere un'ottima metafora del rapporto avuto con le difficoltà, i due giorni precedenti all'evacuazione avevo difficoltà a camminare tanto da farmi portare una sera in spalla fino alla tenda, questo per via delle vesciche e dal fatto che non le ho trattate bene, probabilmente l'evacuazione mi ha permesso di trattarle e farle migliorare ma non ha compensato la fine del Jamboree e della sua atmosfera.
Trovi che l'AGESCI sia simile alle altre associazioni scout?
In occasione di questo Jamboree il cammino di preparazione per gli IST è stato condiviso per la prima volta con i ragazzi del CNGEI e anche l'evento è stato vissuto insieme dalle due associazioni. Stando a contatto con i ragazzi del CNGEI ho avuto modo di approfondire le dinamiche di questa associazione con cui, in una realtà piccola come Venafro, non si ha molto a che fare. Tra le due associazioni ci sono differenze ma non nelle proposte educative, a livello internazionale invece si notano delle differenze sul modo di apparire come scout ad esempio negli abiti e nel comportamento avuto da delle persone che ha fatto sì che per loro il jamboree potesse essere scambiato per una vacanza. C'è da dire che anche noi italiani siamo piuttosto chiusi e severi su quest'argomento perché abbiamo criticato chi si è presentato con le valigie ma effettivamente erano più comode e pratiche di uno zaino. Questi pensieri lasciano il tempo che trovano, ho trovato buffo il modo di pregare degli indiani: erano seduti e ripetevano tutto quello che diceva un uomo vestito da marinaio, dopo andai alla messa di contingente e mi sono accorto che tra me e gli indiani non c'era tanta differenza anzi io cantavo e ballavo durante la messa, così come la messa noi potevamo essere rimproverati per aver preferito gli zaini alla comodità delle valige.
Alla luce di tutto quanto vissuto finora cosa sono per te questi anni di scoutismo e che progetti hai per il futuro?
Gli anni trascorsi nel gruppo sono
stati fantastici, mi hanno permesso di costruire amicizie solide che ancora
coltivo. Nella branca R/S la mia visione di scoutismo si è allargata,
conoscendo altri Rover e Scolte mi sono accorto di come il senso di intendere
lo scoutismo cambi da gruppo a gruppo come da persona a persona. Sono felice di
essere in un gruppo che da tanta attenzione al territorio, che cerca di essere
presente e servire la popolazione e ringrazio il gruppo per avermi fatto
crescere con questo tipo di approccio e mentalità.
Sia lo scorso anno che qualche mese prima di partire ero incerto sulla mia permanenza nel gruppo anche se non credo che lo avrei mai lasciato, durante il jamboree ho avuto modo di pensare ai miei passi futuri sia nell'immediato sia in uno più remoto: in un futuro più lontano mi piacerebbe provare l'esperienza di essere un capo anche se ora non me ne reputo in grado, se dovessi trovarmi lontano da Venafro probabilmente prenderei questa strada in un gruppo CNGEI, non farei questa scelta per motivi religiosi: il non considerarmi credente non ha condizionato in negativo il mio cammino Scout anzi trovarmi in AGESCI in questo momento mi ha spinto ad approfondire il mio punto di vista sulla fede cosa che non credo che avrei fatto in un gruppo CNGEI. Sceglierei quest'associazione solo per conoscerla. Riguardo la mia strada nei restanti anni di clan, devo ancora parlarne con i capi ma il jamboree mi ha fatto prendere una decisione inaspettata per me.
