Il Leone ha ruggito: Israele attacca l’Iran. E adesso? Siamo davvero sull’orlo della Terza Guerra Mondiale?

13.06.2025

di Mario Garofalo

Il 12 giugno 2025 entrerà probabilmente negli annali della Storia come una notte in cui il fragile equilibrio geopolitico del Medio Oriente è stato irrimediabilmente spezzato. Israele ha deciso di spingere sull'acceleratore, di abbandonare quell'ambiguità tattica e strategica che da decenni caratterizza i rapporti con l'Iran, e ha sferrato un attacco militare di una portata e precisione che fino a ieri sembravano prerogativa di guerre su carta o di scenari distopici. Centinaia di velivoli, droni stealth e missili di ultima generazione sono stati impiegati per colpire in profondità le infrastrutture nucleari di Teheran e decapitare il comando militare della Repubblica Islamica. Un'azione chirurgica, si dice; un atto di autodifesa, si insiste. Ma chi ha voglia di prendersi in giro? Non siamo davanti a una mera operazione militare, ma a una dichiarazione di guerra mascherata da bombardamento preventivo. E questa dichiarazione, molto più di quanto si voglia ammettere, rappresenta il preludio a una crisi che potrebbe travolgere il mondo intero.

La prima, gravissima questione da affrontare è il silenzio assordante o l'ipocrisia evidente con cui l'Occidente ha accompagnato questa escalation. Washington, per bocca della sua amministrazione ufficiale, si è affrettata a negare qualsiasi coinvolgimento diretto. Tuttavia, non è credibile che un colosso dell'intelligence come gli Stati Uniti non fosse almeno al corrente di un'operazione che ha coinvolto centinaia di asset militari in un teatro strategico così cruciale. E qui non parliamo di semplici esercitazioni o manovre di routine, ma di un attacco capillare e studiato nei minimi dettagli. L'ex presidente Trump ha perfino ammesso candidamente che un'azione del genere era attesa da settimane, svelando senza volerlo quanto la trasparenza politica sia ormai un optional. L'atteggiamento americano di "guardare e lasciare fare", condito da un moralismo retorico sui diritti di Israele alla difesa, appare come un patetico copione scritto a tavolino, che nasconde interessi energetici, alleanze strategiche e una sostanziale complicità nella destabilizzazione regionale.

E cosa dire dell'Unione Europea? Della tanto decantata "voce della pace" che ogni volta si dissolve nel fumo di comunicati vaghi e frasi di circostanza? Germania, Francia, Regno Unito – nessuno si è degnato di un richiamo fermo o di una condanna esplicita. Le parole si sono limitate a "preoccupazione" e a invocazioni di "moderazione", come se con queste formule magiche si potesse domare la tempesta che si è scatenata. Un atteggiamento indegno per chi, almeno a parole, si vorrebbe posizionare come protagonista della diplomazia mondiale e garante di un ordine internazionale fondato sul diritto e sulla cooperazione. No, invece, l'Europa si è trincerata dietro un muro di cinismo e di meschinità politica, tradendo quella stessa popolazione che in modo ingenuo continua a sperare in un futuro di pace e stabilità.

Questa escalation israeliana, che potremmo definire senza mezzi termini una provocazione premeditata, non è un fatto isolato: è la scintilla che rischia di far esplodere una valanga di conflitti regionali già latenti. Hezbollah alza il tiro, le milizie sciite si preparano a rispondere, e il fragile equilibrio delle alleanze nel Golfo si incrina in modo preoccupante. Il rischio di un conflitto su più fronti, che coinvolga direttamente o indirettamente potenze nucleari, è reale e palpabile. E mentre i leader occidentali tergiversano, le economie globali si preparano a soffrire di nuovo, con un'impennata dei prezzi dell'energia e una recessione all'orizzonte.

Come editorialista, mi chiedo con quale faccia i governi e i leader internazionali continueranno a raccontarci che siamo in grado di controllare la situazione. Perché la verità è che, ancora una volta, la diplomazia è stata sacrificata sull'altare degli interessi strategici e commerciali. E, ancora una volta, la Storia rischia di ripetersi con tutta la sua violenza e brutalità. Chi si illude che questa escalation sia circoscritta a un teatro regionale o che non possa coinvolgere le potenze mondiali in una nuova guerra totale, sta giocando con il fuoco. La posta in gioco è altissima, e le responsabilità di chi ha deciso di fare la guerra senza prima esaurire ogni possibilità di negoziazione saranno pesantissime.

A voi, lettori, lascio una domanda che non si può più eludere: siamo davvero pronti ad affrontare un conflitto che potrebbe ridisegnare gli equilibri globali e mettere a rischio la sicurezza di tutti? O continueremo a navigare nell'illusione che il peggio sia sempre "lontano", finché non ci esploderà in faccia? La risposta non è nelle parole stanche dei leader, ma nella coscienza di ciascuno di noi. Perché la pace non è un dato acquisito, ma un fragile equilibrio che va difeso con coraggio, intelligenza e soprattutto verità. Altrimenti, resteremo spettatori passivi di un mondo che precipita nell'abisso.

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