Il lupo perde il pelo ma 'Libero' non perde il vizio. Napoli e la disinformazione, una città non si infanga con "titoloni" a effetto
Caro 'Libero' giù le mani da Napoli e dal Sud. Razzisti non sono i napoletani, ma chi ha fatto della sua storia giornalistica un attacco mirato e pregiudizievole al Sud, alla sua cultura e alla sua Storia.
di Mario Garofalo, cittadino del Sud
Parliamoci chiaro. Quando ho letto il titolo di Libero – "A Napoli negozi chiusi agli ebrei" – ho provato prima rabbia, poi incredulità. Poi ancora rabbia. Perché ci sono limiti che non si dovrebbero superare, nemmeno per vendere qualche copia in più o per strizzare l'occhio al solito pubblico affamato di indignazione a buon mercato. Ma evidentemente, per qualcuno, Napoli è ancora la città su cui è lecito tutto: mistificare, semplificare, colpire.
E allora, da cronista, ma soprattutto da meridionale, da uomo che questa città la vive, la ama e la conosce, sento il dovere di rispondere. Non posso, non possiamo, restare in silenzio. Perché qui non si tratta solo di cattivo giornalismo – che già sarebbe grave – ma di un attacco alla dignità collettiva. È un gesto che offende non solo i napoletani, ma chiunque abbia a cuore la verità e il rispetto.
Napoli non è perfetta, nessuna città lo è. Ma chi la racconta con superficialità o, peggio, con malafede, compie un atto meschino. Raccontarla puntando il dito, isolando un episodio e trasformandolo in simbolo, senza indagare né spiegare, è una scorciatoia pericolosa. Perché una città, soprattutto una città come Napoli, non si può ridurre a uno slogan. Napoli non si fotografa: si ascolta, si attraversa, si capisce. E chi non lo fa, non sta informando. Sta fabbricando pregiudizio.
Il Sud è da troppo tempo vittima di una narrazione distorta: viene compatito o condannato, raramente compreso. È debole? Allora è criminale. È forte? Allora è sospetto. E Napoli, simbolo di questa complessità e di questa resistenza, viene spesso trattata come bersaglio facile, capro espiatorio, carne da prima pagina per un'Italia che si sente superiore quando guarda in basso.
Ma no, non ci stiamo. Non ci stiamo a vederla trasformata in caricatura, in mostro da esibire. Napoli è storia, è cultura, è umanità. È quella che ha accolto gli ebrei in fuga, che ha dato rifugio a chi scappava dai regimi, che ancora oggi spalanca le sue porte ai migranti, agli ultimi, a chi cerca una seconda possibilità. Dire che qui ci sono "negozi chiusi agli ebrei" è un insulto non solo alla verità, ma alla memoria.
Il sensazionalismo non è un errore: è una scelta. Ed è una scelta irresponsabile. Perché un titolo, oggi più che mai, plasma la realtà, influenza la percezione pubblica, orienta il dibattito. Chi fa questo mestiere ha il dovere – non l'opzione – di verificare, contestualizzare, raccontare con rispetto. Soprattutto quando si maneggiano parole che evocano ferite profonde della nostra storia.
Noi, invece, scegliamo di raccontare Napoli per quello che è: con tutte le sue luci e le sue ombre, ma senza deformazioni. Perché amarla non significa difenderla a prescindere, ma non permettere che venga usata come bersaglio per interessi altrui. La si difende con la verità, con il coraggio, con l'onestà intellettuale.
A chi la infanga con disinvoltura, rispondiamo con l'orgoglio di chi conosce la propria terra. Con la voce di chi non si lascia intimidire. Napoli non chiede elogi. Ma rispetto sì. E quello lo esige.