Il punto di vista. La guerra in Ucraina: dal potere russo alla risposta dell’Occidente
di Gian Marco Di Cicco
Ogni
generazione ha la propria guerra e ciò porta con sé un carico drammatico di
angoscia, di sofferenza, di desolazione, di disorientamento. Le incredibili
immagini delle migliaia e migliaia di profughi che fuggono dall'epicentro del
conflitto ucraino rappresentano le suggestioni che, nel corso del XIX secolo,
non avremmo mai voluto vedere sui social o trasmessi dai mass media di tutto il
mondo. Dal termine del secondo conflitto mondiale, i regimi democratici hanno
abbandonato l'idea della violenza come meccanismo di risoluzione delle
controversie internazionali, a vantaggio della costruzione di un ordine
mondiale, basato sul confronto diplomatico. La forza militare non si è più
identificata nello strumento utile ad assorbire i territori circostanti al
proprio. Al contrario, la politica, soprattutto in ambito economico,
commerciale e finanziario, ha cercato di abbattere le barriere o le frontiere
che avrebbero impedito una sempre più prolifica ed influente integrazione tra
le scelte governative dei singoli Stati. La guerra in Ucraina, tuttavia, non
rappresenta il fallimento della globalizzazione ma è la dimostrazione della sua
incapacità di attribuirsi un controllo. La guerra di Putin, inoltre, è la prova
di una presunta mancanza di realismo da parte dell'Occidente ed, in particolar
modo, dell'Unione europea. Sebbene il meccanismo di difesa militare
internazionale non sia riscontrabile nel Trattato istitutivo di questa organizzazione
internazionale, la diplomazia e il fronte comune degli Stati membri deve
riuscire a confrontarsi con la dura realtà delle scelte espansionistiche del
presidente russo. Putin rappresenta la personificazione dell'ambizione
spregiudicata di un leader rispetto agli altri soggetti del diritto
internazionale: un autocrate che pretende di fare un uso privato degli apparati
dello Stato, sapendo di poter contare sull'appoggio di una parte delle forze
armate. Ciò porta a un nuovo e superiore livello quella guerra civile globale
permanente, caratterizzata da continui conflitti interni ai territori
nazionali, in grado, tuttavia, di produrre ripercussioni a livello
internazionale sia sul piano economico che su quello sociale e, soprattutto, di
trasformarsi in una condizione ordinaria e permanente per milioni di esseri
umani. Rispetto all'Afghanistan, all'Iraq, alla Siria, alla Libia, allo Yemen,
l'Ucraina incarna un salto di qualità perché al centro dell'Europa e per
l'entità dei mezzi di distruzione di massa impiegati. Tuttavia, come accade in
tutti gli altri teatri di guerra, anche in questo caso l'obiettivo è fare del
massacro e della distruzione il centro dell'epilogo drammatico nel contesto
internazionale.La comunità internazionale ha oramai compreso che l'obiettivo di
Putin è di massimizzare il proprio potere, ridisegnando l'ordine globale, come
se l'Unione Sovietica avesse vinto la Guerra Fredda. In risposta a tali
ambizioni, le sanzioni avrebbero il potere negoziale sia per permettere alle
delegazioni di sedersi attorno ad un tavolo sia per creare malcontento nella
popolazione russa nei confronti del proprio governo, responsabile del
conflitto. Non bisogna dimenticare, quindi, il tema dell'oligarchia economica,
non più indipendente nel poter rincorrere i propri interessi finanziari ed
imprenditoriali, dopo l'inizio dell'invasione in Ucraina. La guerra in Ucraina va avanti. L'attacco
della Russia di Putin iniziato lo scorso 24 febbraio non dà al momento cenni di
sosta. La situazione è complicata, il caos è diventato il protagonista della
vita quotidiana ucraina e la soluzione diplomatica al momento sembra distante.
Città assediate e bombardate, civili uccisi, corridoi umanitari non sempre
tutelati, esodo dei profughi. Si soffre per la fame e per il freddo.
Putin in un recente colloquio avvenuto con il presidente Francese Macron, ha
affermato gli obiettivi prefissati e cioè la "denazificazione" dell'Ucraina, la
sua "neutralizzazione", il riconoscimento dell'annessione della Crimea e
dell'indipendenza del Donbass, "se non saranno raggiunti con il negoziato lo
saranno con le operazioni militari". Chiaramente una posizione che rende quasi
impossibile qualsiasi dialogo con la controparte ucraina. Il presidente
Zielensky continua a lanciare appelli all'Occidente. Ma se sul rifornimento di
armi, Stati Uniti ed UE (Germania, Francia e Italia) si sono mostrati compatti.
Diverso è il discorso legato alla "No flyzone", il divieto di sorvolo
sull'Ucraina disperatamente richiesto dal Presidente ucraino alla NATO. L'istituzione
di quest'ultima sarebbe il sinonimo di guerra mondiale con un notevole rischio
nucleare ed esiti incalcolabili. Non a caso, in riferimento alla possibilità di
utilizzo delle basi aeree dei paesi NATO limitrofi, il ministero della Difesa
russo ha fatto sapere attraverso il portavoce, Igor Konashenkov, che "L'uso
della rete di basi aeree di questi Paesi come base per aerei militari ucraini e
il loro conseguente utilizzo contro le forze armate russe può essere
considerato come coinvolgimento di questi Stati in un conflitto armato".
Un'ipotesi che non piace assolutamente ai Paesi europei, consci che sarebbero i
primi a subire le conseguenze peggiori.
L'unica
residua possibilità di arrestare la carneficina e di evitare l'escalation del
conflitto è che le democrazie riscoprano i propri valori e, per farlo, devono
trovare il coraggio di compiere un'autentica scelta politica a sostegno della
libertà e della sovranità del popolo ucraino. Non c'è possibilità di cadere
nell'eccessivo idealismo. Mi limito a ricordare che, a cavallo del Novecento,
il superamento delle monarchie assolute era stato reso possibile da una
convergenza di interessi tra Stato e capitalismo: l'avvento del
parlamentarismo, la nascita dei partiti di massa e dei sindacati,
rappresentavano il contraltare della crescente industrializzazione. Un vero e
proprio "atto di fede" dei regimi partecipativi contemporanei è fondamentale per
costruire un dialogo diplomatico, utile a contrastare l'odio e la violenza
unilaterale del presidente russo.