Il punto di vista. La guerra in Ucraina: dal potere russo alla risposta dell’Occidente

15.03.2022

di Gian Marco Di Cicco

Ogni generazione ha la propria guerra e ciò porta con sé un carico drammatico di angoscia, di sofferenza, di desolazione, di disorientamento. Le incredibili immagini delle migliaia e migliaia di profughi che fuggono dall'epicentro del conflitto ucraino rappresentano le suggestioni che, nel corso del XIX secolo, non avremmo mai voluto vedere sui social o trasmessi dai mass media di tutto il mondo. Dal termine del secondo conflitto mondiale, i regimi democratici hanno abbandonato l'idea della violenza come meccanismo di risoluzione delle controversie internazionali, a vantaggio della costruzione di un ordine mondiale, basato sul confronto diplomatico. La forza militare non si è più identificata nello strumento utile ad assorbire i territori circostanti al proprio. Al contrario, la politica, soprattutto in ambito economico, commerciale e finanziario, ha cercato di abbattere le barriere o le frontiere che avrebbero impedito una sempre più prolifica ed influente integrazione tra le scelte governative dei singoli Stati. La guerra in Ucraina, tuttavia, non rappresenta il fallimento della globalizzazione ma è la dimostrazione della sua incapacità di attribuirsi un controllo. La guerra di Putin, inoltre, è la prova di una presunta mancanza di realismo da parte dell'Occidente ed, in particolar modo, dell'Unione europea. Sebbene il meccanismo di difesa militare internazionale non sia riscontrabile nel Trattato istitutivo di questa organizzazione internazionale, la diplomazia e il fronte comune degli Stati membri deve riuscire a confrontarsi con la dura realtà delle scelte espansionistiche del presidente russo. Putin rappresenta la personificazione dell'ambizione spregiudicata di un leader rispetto agli altri soggetti del diritto internazionale: un autocrate che pretende di fare un uso privato degli apparati dello Stato, sapendo di poter contare sull'appoggio di una parte delle forze armate. Ciò porta a un nuovo e superiore livello quella guerra civile globale permanente, caratterizzata da continui conflitti interni ai territori nazionali, in grado, tuttavia, di produrre ripercussioni a livello internazionale sia sul piano economico che su quello sociale e, soprattutto, di trasformarsi in una condizione ordinaria e permanente per milioni di esseri umani. Rispetto all'Afghanistan, all'Iraq, alla Siria, alla Libia, allo Yemen, l'Ucraina incarna un salto di qualità perché al centro dell'Europa e per l'entità dei mezzi di distruzione di massa impiegati. Tuttavia, come accade in tutti gli altri teatri di guerra, anche in questo caso l'obiettivo è fare del massacro e della distruzione il centro dell'epilogo drammatico nel contesto internazionale.La comunità internazionale ha oramai compreso che l'obiettivo di Putin è di massimizzare il proprio potere, ridisegnando l'ordine globale, come se l'Unione Sovietica avesse vinto la Guerra Fredda. In risposta a tali ambizioni, le sanzioni avrebbero il potere negoziale sia per permettere alle delegazioni di sedersi attorno ad un tavolo sia per creare malcontento nella popolazione russa nei confronti del proprio governo, responsabile del conflitto. Non bisogna dimenticare, quindi, il tema dell'oligarchia economica, non più indipendente nel poter rincorrere i propri interessi finanziari ed imprenditoriali, dopo l'inizio dell'invasione in Ucraina. La guerra in Ucraina va avanti. L'attacco della Russia di Putin iniziato lo scorso 24 febbraio non dà al momento cenni di sosta. La situazione è complicata, il caos è diventato il protagonista della vita quotidiana ucraina e la soluzione diplomatica al momento sembra distante. Città assediate e bombardate, civili uccisi, corridoi umanitari non sempre tutelati, esodo dei profughi. Si soffre per la fame e per il freddo.
Putin in un recente colloquio avvenuto con il presidente Francese Macron, ha affermato gli obiettivi prefissati e cioè la "denazificazione" dell'Ucraina, la sua "neutralizzazione", il riconoscimento dell'annessione della Crimea e dell'indipendenza del Donbass, "se non saranno raggiunti con il negoziato lo saranno con le operazioni militari". Chiaramente una posizione che rende quasi impossibile qualsiasi dialogo con la controparte ucraina. Il presidente Zielensky continua a lanciare appelli all'Occidente. Ma se sul rifornimento di armi, Stati Uniti ed UE (Germania, Francia e Italia) si sono mostrati compatti. Diverso è il discorso legato alla "No flyzone", il divieto di sorvolo sull'Ucraina disperatamente richiesto dal Presidente ucraino alla NATO. L'istituzione di quest'ultima sarebbe il sinonimo di guerra mondiale con un notevole rischio nucleare ed esiti incalcolabili. Non a caso, in riferimento alla possibilità di utilizzo delle basi aeree dei paesi NATO limitrofi, il ministero della Difesa russo ha fatto sapere attraverso il portavoce, Igor Konashenkov, che "L'uso della rete di basi aeree di questi Paesi come base per aerei militari ucraini e il loro conseguente utilizzo contro le forze armate russe può essere considerato come coinvolgimento di questi Stati in un conflitto armato". Un'ipotesi che non piace assolutamente ai Paesi europei, consci che sarebbero i primi a subire le conseguenze peggiori.

L'unica residua possibilità di arrestare la carneficina e di evitare l'escalation del conflitto è che le democrazie riscoprano i propri valori e, per farlo, devono trovare il coraggio di compiere un'autentica scelta politica a sostegno della libertà e della sovranità del popolo ucraino. Non c'è possibilità di cadere nell'eccessivo idealismo. Mi limito a ricordare che, a cavallo del Novecento, il superamento delle monarchie assolute era stato reso possibile da una convergenza di interessi tra Stato e capitalismo: l'avvento del parlamentarismo, la nascita dei partiti di massa e dei sindacati, rappresentavano il contraltare della crescente industrializzazione. Un vero e proprio "atto di fede" dei regimi partecipativi contemporanei è fondamentale per costruire un dialogo diplomatico, utile a contrastare l'odio e la violenza unilaterale del presidente russo.

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