Il ritorno dell’uomo forte: quando la Storia non insegna più nulla

13.06.2025

di Paolo Scarabeo

Ci avevano promesso la pace. Anzi, non "ci" – Trump lo aveva garantito. «Con me, la guerra finisce in 48 ore», proclamava, torace in fuori e mascella contratta, tra un comizio e un post su Truth Social, la sua parodia personale della verità. Ma a distanza di mesi dal suo ritorno sul palcoscenico globale, di quelle 48 ore non resta che un'eco sinistra: l'eco delle bombe, dei droni, dei razzi, dei cadaveri.

Putin? Neanche una piega. Il fronte ucraino non solo non è arretrato: si è consolidato, armato, incattivito. La guerra, invece di smorzarsi, si è radicata nel paesaggio europeo come una nuova normalità. E mentre l'Occidente si balocca con i vertici NATO e le dichiarazioni infiammate, Mosca ringrazia: più sanzioni, più retorica, meno diplomazia. Un capolavoro di strategia geopolitica… al contrario.

Dall'altra parte dell'oceano, intanto, l'uomo del popolo – quello che avrebbe dovuto "bonificare la palude" – si è trasformato in un piromane istituzionale. A fuoco la democrazia americana: giudici intimiditi, giornalisti etichettati come nemici, e ora persino senatori d'opposizione messi in manette. Non per crimini, ma per resistere. Resistere a un'onda nera che torna a montare, tra cappellini rossi e tribunali piegati al volere dell'ex presidente. Altro che MAGA: qui siamo al MACABRO.

E mentre la stampa mainstream si interroga sul tono della campagna elettorale, il crimine prosegue in diretta. Il genocidio a Gaza – sì, chiamiamolo col suo nome – ha superato ogni soglia di umanità. Un popolo messo in ginocchio, quartiere per quartiere, ospedale per ospedale, con la benedizione dei potenti d'Occidente e lo sguardo complice di chi non vuole "dare fastidio agli alleati". La parola "pace" si è persa nei comunicati delle cancellerie: resta solo l'eco del fosforo bianco e la conta dei bambini.

Stanotte, però, la follia ha compiuto un salto di qualità: Israele ha colpito l'Iran. Una mossa da delirio imperiale, un atto che rischia di trasformare il Medio Oriente in un solo, grande campo minato. Chi sarà il prossimo? Il Libano? La Siria? E chi fermerà la spirale, se l'unico arbitro globale è un miliardario narcisista con mire totalitarie e nostalgie da far west?

Questa è la fotografia di oggi. Un mondo in fiamme, guidato da uomini che amano la forza, non la giustizia. Che idolatrano l'ordine, ma disprezzano la legge. Che invocano la libertà, ma incarcerano chi dissente.

Quando la Storia ci ha già mostrato dove porta questa strada, non è più ignoranza: è complicità. Chi applaude oggi i "grandi leader forti" – quelli che promettono la pace ma portano solo guerre – è lo stesso che, domani, fingerà stupore davanti alle fosse comuni e ai tribunali dell'Aia.

Ma sarà troppo tardi. Ancora una volta.

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