In cammino verso la gioia

26.03.2022

Quarta domenica di Quaresima - Anno C

Letture: Gs 5,9a.10-12; Sal 33; 2Cor 5,17-21; Lc 15,1-3.11-32

di don Mattia Martino

La quarta Domenica di Quaresima, detta Domenica Laetare, ci permette di contemplare la grande generosità di Dio e scoprire che la conversione altro non è che un cammino verso una gioia piena, profonda. Gioia significata dal banchetto imbandito dal padre per il ritorno del figlio, nella parabola evangelica odierna. Il brano si apre con una sottolineatura: Gesù ama trascorrere del tempo con i peccatori e ciò scandalizza i benpensanti, che non accettano questo comportamento. La parabola è proprio per loro, che credono di essere giusti solo perché fanno della rettitudine morale l'unico criterio di giudizio. Anche secondo il nostro modo di pensare, Dio dovrebbe stare solo con i giusti, con i vicini. Ma Gesù mostra un Padre che sta con chi ha più bisogno, al di là dei presunti meriti. Dunque i primi a doversi convertire sono proprio "i giusti" e sappiamo come Dio, spesso, faccia molta più fatica con loro che con i peccatori. Dio è più grande del nostro peccato, ma non può mettersi al di sopra della nostra chiusura o della nostra autosufficienza, alimentata dalla falsa giustizia.

Eccoci dinanzi all'annuncio più conosciuto dell'amore fedele di Dio che si fa perdono. Un padre ha due figli. Il più piccolo pretende di avere la parte di patrimonio che gli spetta. Spinto dal desiderio di autonomia, vuole rompere ogni legame con la casa paterna. Pretende di ricevere l'eredità che gli sarebbe toccata alla morte del padre. Vuole eliminarlo dalla sua vita prima ancora che muoia; lo vede come un ostacolo alla sua realizzazione; lo percepisce come un padre-padrone. Molta gente, anche oggi, pensa queste cose anche di Dio.

Restiamo stupiti dinanzi alla reazione del padre: non fa nulla per evitare quella spartizione anticipata dei beni, non impone la sua autorità. E per di più non va nemmeno a cercare il figlio una volta che è andato via. Resta a casa, ma la sua sarà un'attesa sempre vigile: scorgerà il figlio quando è ancora lontano, gli andrà incontro, a testimonianza di un amore che non è mai venuto meno. Il padre non vuole imporre forzatamente il bene a suo figlio, ma accetta di lasciargli spazio anche sapendo i rischi che avrebbe corso in terra straniera; accetta anche l'errore del figlio, sapendo che quella decisione di andare via avrebbe costituito una svolta nella vita del ragazzo; sarebbe stata l'occasione per farlo rientrare in se stesso. Il silenzio del padre diventa un segno di grande forza: parecchi al suo posto avrebbero trattenuto il figlio a casa, evitandosi angosce. Lui invece lo fa andare a costo di soffrire personalmente, perché l'amore lascia liberi, sempre. Ciò non vuol dire che un genitore debba approvare la rovina di un figlio, ma c'è uno spazio insondabile di libertà entro cui non può entrare. Neppure Dio pretende di farlo.

Il figlio va via, convinto di aver iniziato la bella vita. E invece si accorge di quanto poco duri il denaro, di quanto sia sconveniente puntare tutto sulle "cose". Arriva una carestia, un evento improvviso, e tutto svanisce. Si trova da solo, senza soldi, costretto a elemosinare un lavoro. Finirà a pascolare i porci, animali impuri per eccellenza. Preso dai morsi della fame decide di rientrare a casa. Non è un vero pentimento, ma una scelta di interesse. Lo stomaco brontola. Decide di fare il servo (pur sapendo che il padre non avrebbe mai accettato una cosa simile, per il buon nome della famiglia). Rientra e trova il padre che esplode di compassione: la corsa, l'abbraccio, il bacio.

E poi la veste più bella: il padre riveste il ragazzo, restituendogli la dignità, come Dio vestì Adamo ed Eva liberandoli dalla nudità che offuscava la loro figliolanza divina. Malgrado la partenza, la dignità del figlio è rimasta sempre a casa, presso il padre.

L'anello, sigillo di potere. Il padre ridona al figlio l'amministrazione della casa. Sulla fiducia. Nemmeno sulla scorta di un pentimento dimostrato sinceramente.

I sandali, che erano indossati dai padroni (nelle case nobili). Voleva fare lo schiavo, ma ora ha davvero possesso su tutti gli averi.

Il Padre non vuole un figlio a metà, ma in pienezza.

Giunge l'altro figlio. Ha un grande senso della giustizia, ma anche un'immagine distorta del padre (come suo fratello): non gli è stato concesso mai un capretto per fare una festa con gli amici. Si trova in casa, ma ha la mentalità del mercenario, convinto che lo stare col padre sia solo fatica. Fedele solo in apparenza, non sa condividere la gioia del padre, e vede nel fratello un fortunato da punire. Anche a lui il padre ribadirà che è amato così com'è e che non deve dimostrare nulla. Anche il figlio maggiore è chiamato a fare un percorso.

Dio ci da la possibilità di scegliere: credere in un Dio che mi limita, il cui amore mi giunge solo se me lo merito. O credere in un Dio che perdona senza condizioni, che è Padre prodigo d'amore, che anticipa la conversione con il perdono. In altre parole, il Vangelo mi chiede di essere un "terzo figlio", che ha la consapevolezza di essere sempre a casa. Col Padre suo. Sempre grato e gioioso per questo. 

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