“Io non sono lì, non so”, mentre a Gaza si muore anche in fila per l’acqua
di Paolo Scarabeo
A Gaza, dieci morti per aver osato cercare l'acqua. Tra loro sei bambini. Un missile ha colpito un'area affollata nel campo profughi di Nuseirat.
La chiamano "operazione militare", ma ha tutta la forma, il suono e l'odore di un'esecuzione collettiva. E l'esercito israeliano - quello che l'Occidente accarezza con cautela come si fa con i serpenti velenosi - parla di "errore tecnico".
Errore tecnico.
La morte è diventata un difetto di fabbrica. Un guasto. Un refuso nell'ingranaggio della guerra. Ma la sabbia sporca di sangue non si ripara con un aggiornamento software. I corpi dei bambini non si riavviano. La sete, quella no, non è un errore. È la condizione umana più disperata che ci sia. Cercavano solo acqua. Hanno trovato il fuoco.
In Italia, il massimo che riesce a esprimere una certa classe politica è lo sdegno recitato, mischiato a un'ignavia ormai strutturale. Di fronte all'ennesima carneficina, il silenzio regna. Oppure, peggio ancora, si fanno sentire le voci sbagliate.
Qualche settimana fa, mentre un ospedale veniva raso al suolo e si raccoglievano bambini a pezzi tra le corsie, Giovanni Donzelli, capogruppo di Fratelli d'Italia, riusciva a dire - con la serenità di chi vive sulla luna: "Io non sono lì, non so".
Ecco il manifesto di questo governo: l'ignoranza come scudo, la distanza come alibi, l'inazione come strategia.
Non sei lì, Donzelli? No, non ci sei. Non ci sei quando si tratta di capire la portata morale di ciò che sta accadendo. Non ci sei quando si tratta di pretendere giustizia, nemmeno a parole. Ma ci sei, eccome, quando serve scagliare accuse a caso contro chi manifesta, contro chi chiede la pace, contro chi osa indignarsi.
Ci sei per dare del terrorista a chi porta la kefiah, ci sei per difendere il diritto di Israele a "reagire", anche quando reagire significa seppellire bambini vivi sotto le macerie di un condotto d'acqua. Ma non ci sei quando si tratta di fermare un massacro.
E il resto del governo? Tace, o balbetta. Meloni prega per la pace, ma non per chi muore. Tajani parla di "equidistanza" come se fosse un valore. Crosetto si rifugia nella tecnica, mentre l'etica affonda.
Di Netanyahu nessuno osa dire più nulla. Il criminale resta intoccabile. L'Occidente - anche l'Italia - continua a chiamarlo "interlocutore", mentre lui, giorno dopo giorno, smonta la Striscia di Gaza come fosse un lego maledetto.
Non è più il tempo dei distinguo. Non è il tempo delle dichiarazioni cautelate, dei comunicati cerchiobottisti, delle frasi da salotto.
È il tempo della verità. E la verità è questa: chi continua a sostenere Israele incondizionatamente, oggi, è complice di un genocidio.
Chi tace davanti a bambini uccisi in fila per l'acqua ha abdicato alla propria umanità.
E chi dice "io non sono lì, non so" non dovrebbe sedere in Parlamento, ma davanti a uno specchio, a fare i conti con la propria vergogna.
Ma forse, anche quella, l'hanno smarrita. Come l'onore, come il coraggio, come il cuore.
