Karol Wojtyla. Un ricordo esaltante
Ricorre domani, 2 aprile, l'anniversario della morte di (San) Giovanni Paolo II, un papa "mai morto"
di Egidio Cappello
Tra i ricordi che scuotono e vivificano il mio mondo interiore, la data del 2 aprile occupa un ruolo di primo piano. È la data della morte di S. Giovanni Paolo II, al secolo Karol Wojtyla, uomo di grande cultura e pontefice di somma spiritualità. È una data che mi trasmette una forza straordinaria. Passo delle ore a fissare il suo sguardo e credo che il suo, in quel momento, cerca il mio. Avverto la presenza di una sorgente di luce che chiarisce e vivifica le mie conoscenze e rafforza le mie capacità di lettura delle cose del mondo. Percepisco condizioni di elevazione culturale e spirituale e gioisco come mai. Non considero il pensiero di Wojtyla come uno tra i tanti che abitano la mia mente, non lo vedo dibattersi tra rivoli e congetture contrastanti di personaggi del mondo contemporaneo. Il pensiero di Wojtyla è per me fondamento, è radice, è sorgente, è inizio. Le sue opere sono come la stazione finale, conclusiva, di percorsi millenari ed insieme sono inizio di esperienze conoscitive nuove, entusiasmanti: il lettore avverte tra le righe attentamente lette, un senso di compiutezza e di giusta armonia.
È sempre gratificante, e lo faccio anche ora, fissare l'attenzione su un pensiero, una espressione o anche su una parola di Papa Wojtyla. In nessuno atto della sua mente c'è limitazione o parzialità: ogni singola cellula è immagine della totalità del suo mondo interiore. Cerchiamo quest'anno tra le pagine delle sue opere, la risposta ad un interrogativo che l'umanità si va ponendo e vive con drammaticità. L'interrogativo riguarda la progressione geometrica dei saperi della ragione e di contro la decrescita di quelli della fede. Il risultato è un totale disorientamento. Le condizioni della vita attuale, la guerra, la pandemia, i terremoti, le migrazioni, coi suoi funesti eventi, il degrado del pianeta, i cambiamenti climatici, le previsioni infauste del futuro, sono sempre di più lasciati alle valutazioni della ragione tecnologica con risultati poco significativi. Ogni sapere di fede è escluso dalla dinamica delle argomentazioni.
Nella migliore delle ipotesi la fede finisce nella dimensione della intimità spirituale, fuori dalle trame del pensiero. Viviamo la riproposizione della dicotomia tra la ragione e la fede accompagnata dalla profezia positivistica ed empiristica della imminente scomparsa della cultura della Trascendenza. Ebbene Karol Wojtyla dà una risposta definitiva alle congetture dei nostri tempi. Egli sostiene che tutti gli atti della mente, tutti gli atti pensanti, se non imbrigliati in trame empiriche dovute ad ideologie fattuali, sono necessariamente aperti alla Trascendenza. Questo significa che l'esperienza quotidiana della ragione, nell'esercizio pieno delle sue funzioni conoscitive, creative e valutative, è esperienza di universalità, di unitarietà, di divinità. La ragione è laboratorio di unificazione del mondo sensibile e del mondo trascendente: ogni suo atto contiene schegge di luce divina ed è avvicinamento a Dio.
Karol Wojtyla pensa alla politica, alla buona politica, quella che fa propri e utilizza i termini di bene collettivo, di solidarietà economica e sociale, di pace e giustizia, di uguaglianza, di sicurezza, di rispetto delle persone deboli e indifese, di costruzione di un futuro a misura di uomo, di educazione, di religione, di moralità, di bellezza. Pensa alle relazioni internazionali, al dialogo che le fonda, pensa al rifiuto assoluto delle armi e delle violenze che ne conseguono, pensa all'economia che distrugge le antinomie tra i segmenti sociali, pensa all'educazione che forma le future generazioni al bene dell'intera collettività, pensa all'amore per il creato, troppo spesso sconosciuto e maltrattato per cause di profitto.
Non è possibile pensare senza riferire a Dio il prodotto della propria mente. La mente è laboratorio di universalità e di unitarietà ed ogni suo atto è progressione, è itinerarium ad unum. La progressione non può limitarsi a circolazione o manipolazione di possessi, essa è novità, è creazione, è altro rispetto ai contenuti posseduti. Un atto della mente costituisce sempre un salto pindarico verso una superiore unitarietà, costituita da nuove armonie tra la dimensione della storia e quella della divinità. La trascendenza, nei suoi contenuti e nella sua tensione attrattiva e propositiva verso i grandi ideali della vita, è elemento insostituibile del cammino della ragione. La ragione in ogni suo atto, crea dialettica e costruisce sintesi superiori tra il cielo e la terra. La ragione ha bisogno dei saperi della fede, si alimenta degli stessi per superarsi ogni volta e per elevarsi alla pienezza che è propria. Ai saccenti dubbiosi io dico che una differenza tra i saperi della ragione e quelli della fede è possibile quando in premessa la ragione è mortificata ed è ridotta a serva di ideologie.
La ragione di per sé è virtuosa e tra le sue virtù c'è la fede. La fede è teologale nel senso che è la virtù che permette alla ragione di cogliere Dio, di guardare Dio, di capire Dio e il suo progetto d'amore per l'umanità. Una ragione nella pienezza delle sue funzioni, e nell'uso delle proprie dotazioni, non può non avere virtù teologali, non può non riuscire nella totale immersione nel mondo di Dio. La ragione, sostiene Karol Wojtyla, ha nella fede la propria concreta possibilità di raggiungere la pienezza della propria funzione ossia vivere in intimità con Dio. La ragione, questa ragione, è lo strumento per affrontare e risolvere le grandi problematiche dei nostri tempi. Privata della fede, sua virtù essenziale, la ragione è svilita ed è inefficace. Il 2 aprile rappresenta il suggerimento autorevole di Papa Wojtyla, a riconsiderare i poteri della ragione, le risorse della ragione, le sue origini e i suoi obiettivi e, sulla base delle nuove acquisizioni, operare con determinazione e coraggio.
