L’immondo mondo dei Social

22.08.2025

di Paolo Scarabeo

Il caso del gruppo Facebook "Mia Moglie" con oltre 32.000 iscritti non è una curiosità da cronaca nera digitale. È la punta dell'iceberg, l'apertura improvvisa di un vaso di Pandora che sapevamo esserci, che puzzava da lontano, ma che preferivamo non guardare. Dentro non c'è libertà, non c'è gioco: c'è marcio, c'è fango, c'è volgarità. C'è, lasciatecelo dire, vomito puro.

Perché "Mia Moglie" non è un caso isolato. Basta scorrere i corridoi nascosti dei social per imbattersi in decine di gruppi dello stesso tenore: "Mariti cuckold di mogli puttane", "I fans di mia moglie", "Tutte le donne vogliose del c@xxo"… titoli che gridano da soli, come cartelli di una discarica morale. Decine di migliaia di iscritti, uomini con nome, cognome e volto, padri di famiglia, mariti, amici di condominio, una miriade di profili fake. Tutti uniti nello stesso culto: la pornografia volgare, l'umiliazione della donna, la banalizzazione del corpo, lo stupro sistematico della dignità..

Ma non basta. Aprite Facebook, TikTok, Telegram. Ogni reel è preceduto da fumetti porno, pubblicità softcore che di soft non hanno nulla, video espliciti senza censura, contenuti pornografici messi lì come fossero caramelle al bancone di un bar. E voi pensate di "segnalare"? Le risposte sono sempre le stesse, automatiche, disarmanti: "Abbiamo esaminato il contenuto e non risulta violare i nostri standard della community". Una formula burocratica, ripetuta a milioni di persone ogni giorno, che equivale a una pernacchia.

Non c'è filtro. Non c'è protezione. Non c'è coscienza. I social sono frequentati da adulti, ragazzi, bambini. Tutti sullo stesso piano, allo sbando totale.

Il problema non è solo penale, non si chiama soltanto "revenge porn". Quello è l'aspetto giuridico, che pure fa rabbrividire. Qui la malattia è più profonda. È culturale. È educativa. È umana. È la malattia di personalità distorte che non riconosciamo, che faremmo meglio a guardare in faccia prima che sia troppo tardi. È la patologia di un uomo che riduce la propria moglie a carne da esposizione, che strumentalizza la figlia, che consuma l'immagine di una donna ignara come fosse un panino da fast food.

Questa non è libertà. Questa è schiavitù. È ossessione. È pornografia travestita da socialità. È la cloaca a cielo aperto in cui stiamo tutti nuotando, chiudendo gli occhi per non vedere che ci stiamo affogando dentro.

Ma non basta indignarsi. Serve intervenire. I protocolli internazionali di controllo – quelli che dovrebbero vigilare sui contenuti, proteggere i minori, salvaguardare la dignità delle persone – si rivelano fragili, impotenti, incapaci di affrontare l'enormità del problema. Norme scritte a tavolino, spesso piegate agli interessi economici dei giganti del web, che limitano la possibilità concreta di agire, in nome di una privacy che, in realtà, nasconde porci. 

Eppure, il nodo non è solo normativo. È educativo. Non basterà mai una legge o un algoritmo se non insegniamo alle nuove generazioni – e agli adulti con loro – che i social non sono un Luna Park senza regole, ma un luogo pubblico, uno spazio reale, dove il rispetto, l'etica, la responsabilità devono valere quanto e più che nella piazza sotto casa.

Oggi i social sono una Babele, un caos di lingue, immagini, ossessioni. Domani possono diventare un mondo abitabile. Ma servirà il coraggio di una vera formazione al digitale, che accompagni i ragazzi e i loro genitori, che li aiuti a capire e a scegliere, a distinguere ciò che eleva da ciò che degrada. Il problemi non sono gli strumenti, né la tecnologia ma "i manuali d'uso", spesso mai letti. Allora, forse, questo immondo mondo potrà, un giorno, diventare umano.

È importante protestare, ribellarci, prendere posizione! Far sentire tutti il proprio dissenso. Il caso d'attualità che ha acceso questa discussione ne è la prova. Oltre 3000 già le denunce. È sì vero che chiuso quel gruppo se ne è aperto uno su Telegram e uno su Whatsapp, ma intanto ciascuno può fare la sua parte nel segnalare e denunciare, nel non voltarsi dall'altra parte e fingere di non vedere. Noi - che di segnalazioni ne facciamo decine - continueremo a farlo. Non basta non fare il male, serve fare il bene. 

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