L’inquietudine e la consapevolezza dell’adattamento

05.08.2021

di Giammarco Rossi

Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria: e se l'azione fosse concepire l'astrazione? Navigare nel mare del nulla, all'interno di un contesto metafisico dove poter trovare uno spazio, reale ò ideale, nel quale esercitare il proprio adattamento. Ecco, qual è la reazione alla ricerca di uno spazio, un luogo in cui abbandonarsi alla propria esistenza, quale reazione avviene dalla ricerca della consapevolezza?

Collocarsi nell'esistenza è per eccellenza l'attività più longeva del genere umano eppure, questa semplice azione richiede ed ha richiesto, secoli di arrovellamenti, in cui l'unica certezza che resta è il dubbio del proprio ruolo all'interno di contesti dinamici casuali. Agostino e Nietzsche, hanno passato buona parte delle loro vite ad interrogarsi sul bene ed il male, quando bastava capire (con il dovuto rispetto) che il bene ed il male non sono due estremi di medesime condizioni ma sono un unico ammasso di materia astratta che forniscono gli strumenti adatti ed imprecisi per potersi misurare con i limiti delle proprie funzioni. Il bene non gareggia con il male: il bene non sempre è il bene e d'altra parte se questo tanto ricorso bene esistesse per davvero, è logico e banale che senza la sua rispettiva controparte non potrebbe esistere. Stephen Dedalus nelle pagine dell'Ulisse e nel Ritratto dell'artista da giovane, conosce fin dalla tenera età il dramma della vita: l'adolescenza gioca in lui un ruolo diverso da quello dei suoi compagni. Capisce fin da subito l'importanza e la bellezza del distacco. Ciò non vuol dire vivere per nulla e con nulla, al contrario: significa vivere a pieni polmoni la vita, respirare libertà in ogni istante e, tuttavia, mantenere un distacco naturale e pragmatico verso quegli elementi artificiali che semplificano la vita attraverso distrazioni materiali e immateriali. Con una semplice (e semplice è l'eufemismo più estremo che esista) riflessione James Joyce regala al grande pubblico il primo personaggio inquieto e consapevole del proprio compito. Già Manzoni in realtà aveva creato personaggi irrequieti ma che tuttavia non erano consapevoli di questa loro particolarità, in Joyce invece non solo sono consci, ma quasi se la vanno a cercare. Stephen Dedalus e successivamente Leopold Bloom, vagabondano come i peggiori cani randagi per le vie di Dublino senza una metà e senza uno scopo. Il primo, il giovane artista vagabonda perché sente di essere incompleto ma non sa di cosa ha bisogno; il secondo, l'adulto Ulisse, passeggia con pacatezza e lentezza per il gusto di perdersi. D'altra parte va detto che in antichità fu Dedalo che costruì il labirinto del Minotauro, e fu Ulisse ad intraprendere un viaggio per far ritorno non tanto nella tranquillità del conosciuto quanto, piuttosto nella sicurezza della propria posizione. Joyce fa evadere dalla vita questi due personaggi, proprio come era solito fare lui stesso, perché in fondo l'unico modo per vivere realmente è essere inquieti: interrogarsi costantemente sul proprio ruolo (ammesso che ci sia) sulla propria funzione e sul perché fra tante particelle, per citare Lucrezio, sia toccato proprio ed anche a noi abitare il creato.

Aver paura dell'esistenza dunque per comprendere la bellezza dell'esistenza stessa. Soltanto se conosco il male posso concepire il bene, solo c'è il buio esiste la luce. Il mondo è un luogo neutro al servizio della ragione. Bene o male, la responsabilità di ogni singolo avvenimento dunque dipende che chi questo luogo neutro lo vive o prova ad interrogarlo. Abbandonare la vita per viverla meglio e, da buoni nichilisti, a volte rifugiarsi nel weltshmerz.

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