La Chiesa e l'adolescente

27.02.2024

di don Salvatore Rinaldi e Chiara Franchitti

All'educazione è necessario individuare soprattutto quel «cinque per cento di buono» (Baden-Powell) su cui fondare il proprio agire. Laddove non si individui alcun elemento favorevole, non può quindi darsi educazione. L'adolescenza è un passaggio piú marcato di altri al punto da costituire un salto. Questo può apparire piú o meno spericolato, piú o meno alla nostra portata, secondo come sia percepito il terreno, non tanto di partenza quanto di arrivo. Molte difficoltà dell'adolescenza hanno una spiegazione lineare, derivano spesso dall'infanzia. Ma a motivo della responsabilità educativa, dell'accoglienza nei confronti dei giovani, la spiegazione e la causa si trovano anche nell'influsso esercitato dai contesti sociali. 

In questi ultimi, per altro, non agisce una particolare perversione, ma il venir meno delle condizioni irrinunciabili dell'educazione. Ci si riferisce a principi chiave, come autorità, valore, memoria, tradizione, identità e moralità. Non si vorrebbe alleggerire il ruolo che il giovane deve giocare per conquistarsi quello spicchio di fortuna che sfugge al destino, ma non si può, non di meno, dimenticare quanto le generazioni adulte potevano fare di piú e meglio. Insomma gli adolescenti, sono lo specchio dei nostri errori. La loro fragilità riproduce la nostra fragilità, le loro insicurezze le nostre insicurezze, le loro paure le nostre paure. Per dirla con un saggio come Mounier, l'educazione dell'adolescente inizia dalla rieducazione, prima di tutto, di noi stessi. È la riscoperta e messa in pratica di due valori fondamentali, la decisione e l'impegno. In essi l'adolescente può o potrebbe trovare una se non la risposta di senso che va, magari inconsciamente, cercando. 

L'adolescenza è l'età in cui la vita si mette a cantare, esplodendo tumultuosa, prepotente, allegra. L'adolescenza è un panorama variegato e mutevole, con i profumi della primavera, i colori dell'autunno, le esplosioni di sole dell'estate. Ma con anche le avvisaglie di tempesta (cioè di scelte sbagliate che possono condizionare il futuro). Il tutto dentro una grande voglia di essere "se stessi", di essere "con gli altri", di essere "qualcuno". E senza un preciso progetto di vita. Ogni tentativo di proporre la fede agli adolescenti, "fatta la Cresima", cioè adempiuti gli obblighi della tradizione, approda a poco, per non dire a niente, se non c'è davanti ai loro occhi una Chiesa che sappia incuriosirli, farsi ammirare, attrarre. Cioè una Chiesa dal volto giovane, materna, ricca di doni, modello e testimone, missionaria, capace di parlare la loro lingua. Non una Chiesa che impone, chiede, recrimina, ma una Chiesa che propone e offre "cibo buono". 

È necessaria una Chiesa che, non nei documenti e nelle prediche, ma nella realtà concreta delle parrocchie, testimonia in modo visibile che la fede in Cristo è "ok" per la vita.

I ciechi non hanno migliorato la loro condizione da quando sono stati chiamati "non vedenti". E le barriere architettoniche non vengono superate battezzando con il nome di "disabili" o "diversamente abili" gli handicappati. Il primo annuncio è un modo diverso di comunicare il Vangelo. La Chiesa di cui hanno bisogno gli adolescenti oggi, non va inventata, ma rinnovata alle sue sorgenti e riportata sulle strade del Maestro. Una Chiesa che non impone ma propone, non esige ma offre, non trattiene ma lascia andar via. Che sappia accettare un Cristianesimo "imperfetto", sospinto cioè pazientemente verso la pienezza. Gesú invita il giovane ricco a seguirlo, senza forzare la sua risposta positiva. Lo lascia andare via. E il giovane se ne va via "triste", cioè convinto di avere perso qualcosa, non di aver trovato finalmente la "libertà". 

Una Chiesa che vede e non passa oltre, ma ha compassione, si fa vicino, fascia le ferite, porta alla locanda, estrae due denari... Guarda l'adolescenza con simpatia, anche quando può essere irritante. Ha compassione e si fa vicino: comprende il suo linguaggio, le sue provocazioni, le sue richieste e il suo modo di chiedere, le sue lune, i suoi entusiasmi e le sue crisi. Accetta che questo non sia il tempo della raccolta, ma del lavoro paziente e dai risultati incerti, cura le sue ferite dal lavoro paziente e dai risultati incerti. Cura le sue ferite (le "sue", dell'adolescenza!), in modo particolare quelle religiose: la fede in Gesú ritenuta per bambini piccoli, una imposizione non richiesta, contraria alla voglia di vivere. 

Una Chiesa che si accosta e cammina "con" l'adolescenza. Non fa prediche, ma chiede: "Perché?".

E risponde facendo ardere il cuore, non con frasi fatte e retoriche, alla sua sessualità, senza testa, alle sue suggestioni nei confronti dei "corvi" (la droga, la violenza, una sessualità cosificata, la tiranna del gruppo...Non dimentichiamo che le scelte di vita positive o negative mettono radici dell'adolescenza!), e al suo desiderio e bisogno di "essere qualcuno". Proponendo non i "no", ma i "sí" della proposta cristiana, che Paolo sintetizza cosí: "Tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtú e merita lode... Tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri".

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