La crisi siamo noi
di Paolo Scarabeo
Arezzo. Campo sportivo di periferia, torneo under 12. Un arbitro ventenne finisce all'ospedale dopo essere stato colpito al volto da un genitore, infuriato per una decisione sgradita.
Ascoli Piceno. Cena di fine anno scolastico di una terza media. Un padre rimprovera una madre davanti a tutti. Rispondono altri genitori. La discussione degenera in rissa. Davanti agli occhi dei figli.
Sembra cronaca nera di paese. Invece è il bollettino quotidiano del nostro fallimento educativo. Perché mentre parliamo della "crisi degli adolescenti" come se fosse un mistero esogeno, quasi mitologico, i ragazzi ci guardano. Ci ascoltano. E ci imitano.
E allora bisognerebbe cominciare da qui: dal coraggio di ammettere che la crisi siamo noi.
Chi cerca la crisi degli adolescenti nei videogiochi, nei social, nella trap o nell'assenza di valori, guardi qui. Basta leggere queste cronache – solo le ultime di una lunga serie – per capire che il problema non sono i ragazzi. Sono gli adulti. È la nostra generazione.
Quella che urla dai bordi del campo, che si accapiglia al saggio di danza, che insegna con l'esempio che chi alza la voce vince.
Quella che parla di educazione ma non educa. Che predica rispetto ma poi sbrana chiunque metta in discussione il proprio ruolo genitoriale.
Abbiamo costruito un impianto educativo fondato sulla performance, sulla visibilità, sulla competizione malata. Abbiamo confuso l'amore con il possesso, la protezione con l'ingerenza. Abbiamo fatto dei figli il nostro specchio, e quando l'immagine non ci piace, spacchiamo tutto.
Il gesto di quel genitore ad Arezzo non è un raptus. È il frutto di un veleno lento, di un clima culturale che non riconosce più l'autorevolezza, che non sa accettare la frustrazione, che pretende la vittoria a ogni costo, anche in una partita under 12.
Così crescono i ragazzi: tra padri che aggrediscono e madri che difendono l'indifendibile, in un eterno cortocircuito emotivo. E quando, tra i banchi o in piazza, un adolescente alza le mani, ci si scandalizza.
Ma lo ha imparato da noi.
Perché la violenza non nasce nel vuoto: si respira a casa, si osserva a scuola, si eredita in silenzio.
La crisi educativa di cui tutti parlano, senza mai fare nomi, ha un colpevole preciso: il mondo adulto. Non serve un convegno. Serve uno specchio.
Serve che cominciamo a stare zitti quando sarebbe più facile urlare. A fidarci di un insegnante, a lasciare che un arbitro arbitri, a capire che non sempre un figlio ha ragione, e non sempre ha bisogno di essere difeso: a volte ha bisogno di vedere che un adulto sa stare al suo posto.
Perché se i nostri figli crescono male, è solo perché siamo stati pessimi maestri.
