La distopia antropologia degli italiani nella società dei consumi

22.10.2021

di Giammarco Rossi

Fino ad un preciso momento storico il Potere esercitava la propria funzione attraverso canali che con il tempo vennero sempre più etichettati e adeguati in base a canoni (non scritti) che da secoli hanno indottrinato... influenzato, pardon - oggi si dice così - la cultura di massa.

Erano il Vaticano, i partiti tradizionali e quelle solide ideologie che fino alla fine degli anni Sessanta del Novecento spaccavano in due e più parti l'opinione pubblica, le masse. Da questo preciso momento storico, anche se ciò era percepibile già qualche anno prima dell'accadere dei seguenti episodi, la cultura media ha trovato altri modelli e il Potere ha magistralmente addrizzato il tiro, adeguandosi alla perfezione ai nuovi strumenti di controllo. Il modello in questione è quello statunitense: televisioni, radio, giornali, varietà, show di ogni genere e mode che piovono sulla società con una cadenza terrificante.

La società dei consumi inizialmente aveva una propria domanda e addirittura l'offerta (giustamente) teneva molto in considerazione l'opinione o per meglio dire il gusto del cittadino medio, di estrazione per lo più medio-borghese.

La borghesizzazione della società italiana ha fatto sì che si perdesse quella ruralità e genuinità che era il perno della sua società, fondata su valori legati alla tradizione cattolica e conservatrice. Con la vittoria schiacciante del no nel referendum del '74, per la prima volta, forse, in Italia conservatori e progressisti (senza tirare in ballo la vecchia diatriba rossi-neri) uscì sconfitta non dal punto di vista politico, bensì sociale: nessuno, forse, poteva prevedere la schiacciante vittoria, nemmeno i moderni comunisti di Berlinguer, perché quella società non poteva apparire così distante dai modelli tradizionali su cui fi fondava da migliaia di anni. Questo è perciò un processo antropologico senza eguali (perlomeno nella storia contemporanea del nostro Paese).

Una mutazione radicale della cultura di massa che oggi ancora porta i le conseguenze addosso e che continua a mutare con velocità disarmante. Il crollo dei valori, tanto decantato dai conservatori e dalle destre non è altro che una mutazione verso nuovi valori, principalmente verso uno solo, il più grasso e sicuro: il consumismo. Sulla scia della mercificazione coatta è palese che la standardizzazione e l'omologazione dell'individuo siano elementi caratterizzanti utili a non-caratterizzare praticamente nulla. La diversità, strumentalizzata in ogni tipo di slogan del politicamente corretto, in realtà non esiste, non può esistere, poiché oggi, paradossalmente è l'offerta che detta la linea, la domanda crede di avere il potere ma si limita ad adeguarsi a ciò che gli viene imposto (abbigliamento, taglio di capelli, gusti musicali, ideologia politica etc.).

Distinguere un fascista da un antifascista è perciò oggi pressoché impossibile, poiché il tanto temuto e bollato fascismo, nemico storico di quella che oggi viene definita sinistra, si fonda su un tipo di società di cui tutti e sottolineo tutti, fanno parte ed hanno accettato i modelli. Sarebbe anacronistico oggi per un fascista vestire solo prodotti made in Italy, adottare unicamente la lingua italiana e seguire alla lettera il diktat del folklore fascista del ventennio. Oggi fascisti e antifacisti seguono le stesse mode, gli stessi costumi e sono figli della stessa cultura. Sono diversi, sissignore, ma per avvertire questa differenza oggi è necessario scambiare con loro due parole o osservarli per un po'; cinquant'anni fa ciò avveniva in maniera naturale poiché la massificazione della cultura non era ancora così legata al consumismo e all'omologazione.

Una distopia (soggettiva per carità!) antropologia ancora molto giovane ma senza alcun dubbio c'è uno squarcio importante tra la ruralità precedente al boom economico e la standardizzazione avvenuta dagli anni Settanta in poi, su cui oggi si fonda la società 2.0.

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