“La fiera dei sogni”, di Adil Olluri

01.07.2021

di Francesca Iervolino

«Questa raccolta di racconti, al tempo stesso realistici e surreali, è un libro importantissimo perché è la prima opera kosovara tradotta in Italia. Il lettore, senza accorgersene, si troverà catapultato in uno scenario inquietante ma profondamente vivo in cui passato e futuro, realtà e sogno, rassegnazione e speranza sono due facce della stessa medaglia. In questa "fiera dei sogni" la desolazione, la povertà, la prostituzione, la follia umana lasciano il posto all'amicizia e all'amore per il prossimo, valori che traspaiono in ogni parola».

Adil Olluri, scrittore originario del Kosovo, nella raccolta di racconti brevi "La fiera dei sogni" -racconti minimi Kosovari- (Edizioni Ensemble), porta in scena uno spaccato di vita tragico e doloroso, un segmento di storia che ha segnato profondamente il suo paese d'origine e il resto dell'Europa. Le storie narrate in questo piccolo volume viaggiano su unico binario, su un unico filo conduttore: il ritorno alla vita dei cittadini del Kosovo all'indomani della fine della guerra civile.

Nelle intenzioni di Olluri non vi è la volontà di rintracciare le cause che hanno portato alla nascita del conflitto fratricida nella regione dei Balcani, al contrario, i suoi personaggi hanno già visto, sentito e sopportato il peso della guerra e si ritrovano, ora, ad essere le note stonate di una cruda e malinconica sinfonia del dopoguerra. In un'atmosfera onirica e desolante, i protagonisti delle storie sfilano davanti al lettore attoniti e sgomenti, ognuno col proprio bagaglio di orrori: sono donne, uomini e bambini che hanno perso e scarificato tutto quello che avevano in nome di una guerra ingiusta, combattuta per altri (un lavoro, la propria casa, un familiare e finanche la propria dignità). Intere città distrutte, centinaia di vittime: all'indomani della guerra la realtà che si presenta ai superstiti è desolante, addirittura peggiore degli scenari bellici.

«La primavera era inoltrata e, al posto dei fiori, sbocciavano le rovine delle case, al posto del profumo della rugiada mattutina, le nostre anime si erano intorpidite a causa dell'odore del sangue e delle anime dei cadaveri rimasti senza sepoltura per giorni interi. Erano giorni quasi estivi e noi avevamo rinverdito la natura con il fumo e le fiamme delle armi».

L'empatia di Olluri nel narrare le storie incatena il lettore ad ogni pagina, sfiorando delicatamente gli argomenti che tratta, lasciando all'immaginazione del lettore tutto ciò che è difficile spiegare con la semplice parola scritta. Gli stupri di guerra, ad esempio, sono trattati dallo scrittore in maniera semplice, ma profonda ed efficace a comprendere una delle conseguenze più terrificanti di una guerra.

«E tu, proprio, tu. Un bottino di guerra che io avrei dovuto stuprare, violentare, marchiare come facevamo con tutte le altre, in quella stanza angusta, ammuffita, che serviva solo a questo. Era quasi d'obbligo violarti, ma quella volta mi era difficile, impossibile, fare una cosa del genere».

Olluri, cosciente della risonanza e del potere evocativo che determinati episodi ingenerano nel lettore, non eccede mai con la parola o con la descrizione di particolari morbosi: i racconti minimi kosovari sono storie che si narrano da sole, che procedono libere e che accompagnano per mano il lettore nella narrazione. Alla fine di un conflitto tragico come è stato quello che ha caratterizzato i Blacani nulla più ritorna alla normalità: nessuno restituirà alle famiglie i padri, i figli, la dignità o la felicità perduta. La guerra cambia ogni cosa, persino la percezione delle cose più semplici e il grande merito di Olluri è proprio questo: aver saputo narrare questa desolazione con grande maestria. 

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