La libertà degli uomini, tra ragione e fede
La pandemia ha chiesto a ciascuno maggiore discernimento, ha stimolato più forti capacità creative, più responsabilità e naturalmente più libertà di pensiero e di azione. Su quest'ultima sentiamo il bisogno di riflettere. Quando oggi si dice che la ragione è libera, o quando si invita la ragione ad esserlo, si fa riferimento ad una libertà da determinati contenuti, i saperi della fede. La ragione sarebbe libera di essere e di operare secondo le proprie capacità, solo se priva di saperi che rinviano a realtà metafisiche, oggettive ed eterne. La libertà dalla fede, non altro.
Le dottrine empiristiche, razionalistiche, materialistiche, positivistiche, che hanno dominato la cultura laica europea dal diciottesimo secolo, hanno sostenuto che la libertà della ragione è compressa dalla presenza della cultura teologica e metafisica e auspicano la scomparsa dei saperi della fede. La ragione, si sostiene, se priva dei saperi della fede, se priva di nozioni dogmatiche, è in condizione di salvaguardare se stessa e le proprie qualità, operando nella ricerca e nella conquista piena della verità. Gli atei dei nostri tempi sono ancorati alla cultura scientifica e tecnologica: rimanendo nei limiti della stessa, essi sostengono, la ragione può aspirare a grandi conquiste culturali ed umane.
Siamo di fronte ad una assurdità: la ragione delibera di privarsi di saperi e di capacità intellettive per affermare la propria grandezza. Contro tali pensieri la dottrina cristiana sostiene che la ragione umana è tanto più libera di accedere alla verità, quanto più utilizza le proprie virtù. La fede è una virtù della ragione umana ed è perfettamente integrata nelle attività razionali. La dottrina la definisce virtù teologale perché ha anche il potere di promuovere intimità con Dio. Non è ipotizzabile una ragione che escluda da se stessa una propria virtù, la fede, per restare ancorata al recinto della propria esperienza sensoriale. La ragione tende alla migliore attuazione delle proprie potenzialità e questo impone l'uso di tutte le proprie virtù. La ragione che azzera una propria virtù è impensabile. La fede non solo non ostacola il cammino della ragione, ma lo rafforza e ne permette la progressione.
Il cammino della ragione non può essere fatto solo di acquisizioni sensoriali; esso incontra la dimensione della speranza, incontra il bisogno di rispondere ai grandi interrogativi dell'esistenza, incontra il mondo dei sentimenti e degli affetti, incontra necessariamente la trascendenza. Ogni atto della ragione, scrive Giovanni Paolo II, apre al mondo della trascendenza in quanto è momento di lettura, di valutazione, di progettazione, di edificazione, e questo impone orizzonti che solo la fede può dare: in ogni proprio atto la ragione esce da se stessa, supera se stessa e si proietta verso Dio che del mondo metafisico è fondamento.
La ragione attraverso la virtù della fede entra necessariamente nel mondo di Dio, entra nel pensiero di Dio, e non può non accorgersi che la propria libertà consegue al possesso pieno di Dio. L'ateo che rifiuta Dio ha già mortificato la propria ragione: questa è povera di infinito, povera di aspirazioni e di grandi idealità. A tutti i lontani da Dio proviamo a ricordare che la ragione umana è immagine della ragione di Dio. Le qualità che caratterizzano la ragione di Dio, la creatività, la progressività, la libertà, l'unitarietà, l'accoglienza, il dialogo, la misericordia, sono qualità della ragione umana. Niente che sia di Dio, manca all'uomo.
Il mondo interiore di Dio è unitario e veritiero: nessuna separazione, contrapposizione o soggezione tra i saperi. Quando affermiamo che Dio ha preso dimora nel cuore dell'uomo, diciamo che i caratteri del pensiero di Dio sono i caratteri del pensiero dell'uomo e che il cuore di Dio è il cuore dell'uomo. Il vocabolario di Dio è il medesimo vocabolario di quello dell'uomo. Ogni termine ha lo stesso significato per l'uomo e per Dio. Se i saperi della ragione e i saperi della fede sono i medesimi nella mente di Dio, lo sono anche nella mente umana.
Mi sovviene con disagio il ricordo di quanti pensatori, in questi ultimi tre secoli, si siano adoperati per sostenere una assoluta dicotomia tra i saperi della fede e quelli della ragione umana.
Ribadiamo che la mente umana vive di Dio e si alimenta alla ragione di Dio. Se la mente di Dio è libera, lo è anche la mente umana, se coglie con immediatezza l'intero universo, anche la mente umana ne ha la facoltà. Se la mente di Dio è la verità ed è perfetta, anche la mente umana possiede la verità ed è perfetta. Se Dio conosce se stesso e l'intero universo, anche l'uomo conosce Dio, se stesso e l'intero universo. L'umanità e la divinità sono così correlate che è impossibile alla ragione pensare a due dimensioni logiche diverse, a due vocabolari diversi, a parole dal diverso significato. L'opposizione tra la ragione e la fede, è improponibile perché contraria alla vita della ragione.
La libertà dell'uomo non include la ricerca della povertà della ragione. Che la libertà sia il poter fare quello che si vuole, come dai più si sostiene, è indice di ignoranza e di negazione delle risorse della propria ragione.
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