La luce che non volete vedere. Nell'attacco al Presepe il buio di un vuoto culturale
di Paolo Scarabeo
C'è un limite oltre il quale il silenzio diventa complicità. E quel limite, lo abbiamo ampiamente superato. Non si tratta più di qualche episodio isolato, di qualche burocrate particolarmente zelante, di qualche amministratore in cerca di applausi facili. No! Quello che sta accadendo è un filo sottile, ma resistente, che da anni tenta di recidere ciò che ci tiene uniti alla nostra storia più profonda.
In Italia e in Europa si moltiplicano episodi che sollevano una domanda semplice, ma decisiva: stiamo davvero tutelando la sensibilità di tutti o stiamo progressivamente cancellando ciò che appartiene alla nostra identità culturale e spirituale?
Gli ultimi casi – dal presepe "ridimensionato" a Bruxelles alla rimozione della figura di Gesù a Grosseto, passando per le contestazioni nella Genova della nuova bandiera Silvia Salis, fino all'ultima, surreale polemica che mette perfino bue e asinello nel mirino – non possono più essere considerati eventi isolati.
Sono segnali di una tendenza precisa: una progressiva ritrazione dei simboli che hanno accompagnato generazioni, spesso nel silenzio e nella semplicità, ma con un significato profondo.
A essere in discussione non è una decorazione natalizia o un manufatto folkloristico.
In gioco c'è il rapporto con una memoria collettiva che, piaccia o meno, rappresenta uno dei pilastri identitari del nostro Paese e non soltanto. Il Natale non è un orpello stagionale: è una tradizione che parla alla parte più intima delle comunità, anche di chi non vive la dimensione religiosa in modo praticante.
Oggi quella tradizione appare sotto pressione.
Le motivazioni invocate – rispetto, neutralità, attenzione alle diversità – vengono spesso utilizzate come giustificazione per l'eliminazione graduale di simboli che hanno sempre svolto un ruolo inclusivo, non esclusivo.
Il risultato, però, è paradossale: mentre si invoca il rispetto, si chiede di rinunciare proprio a ciò che, per molti, costituisce la radice stessa della propria storia.
Occorre dirlo con chiarezza: difendere il presepe non significa voler imporre una fede, né negare la pluralità culturale delle società contemporanee. Significa riconoscere che esistono eredità comuni che non possono essere cancellate in nome di una neutralità che finisce per svuotare tutto. Significa la libertà di oltre un miliardo e duecento milioni di persone di vedersi riconosciute nella propria identità.
Il Natale, nella sua dimensione simbolica, è memoria, nascita, speranza. È un punto luminoso che ritorna ogni anno, soprattutto nei momenti di incertezza. E proprio per questo appare oggi più vulnerabile: coperto, smorzato, ridotto a un imbarazzo da gestire.
È necessario, dunque, prendere posizione. E noi non abbiamo mai temuto di farlo!
Non con toni bellicosi, ma con fermezza: non si può accettare che la tradizione venga trattata come un elemento da rimuovere per evitare discussioni.
Le radici non si eliminano: si custodiscono. Per noi, per i nostri figli, per chi verrà dopo.
La luce di Natale non è solo un fatto liturgico. È un riferimento culturale, umano, comunitario. E la luce – anche quando si tenta di spegnerla – trova sempre un modo per tornare a brillare.
Oggi spetta a noi decidere se lasciarla filtrare o lasciarla scomparire. E di fronte al buio del vuoto culturale che ci sta sovrastando, chi mette in discussione quei valori ci troverà sempre dall'altra parte. E' piccola cosa, forse, ma non smetteremo di fare la nostra parte!




