La meritocrazia di cartone: quando il privilegio ereditario umilia il Paese

11.07.2025

di Mario Garofalo

Nell'Italia di oggi, in cui le difficoltà economiche si insinuano silenziose e implacabili nelle vite di milioni di cittadini, in cui i giovani sono costretti a piegarsi a lavori precari e sottopagati pur di sopravvivere e costruirsi un futuro, ecco che emerge con forza – e non certo per meriti personali, ma per nascita e appartenenza – la figura di Geronimo La Russa, figlio della seconda carica dello Stato, che viene investito della presidenza dell'ACI con un lauto stipendio che rasenta i 230.000 euro l'anno, una cifra spropositata e indegna se confrontata con la realtà di chi ogni giorno fatica e si vede negato ogni spazio di progresso sociale ed economico. 

Questa nomina rappresenta l'emblema di un sistema che si autoperpetua, dove la parola meritocrazia viene svuotata del suo significato originario e piegata a logiche di potere, di parentela e di privilegi ereditari, facendo sì che chi nasce in certi ambienti goda di una marcia in più, mentre la maggioranza resta confinata in un limbo di precarietà e ingiustizia.
È significativo osservare come il percorso di Geronimo La Russa, che parte da incarichi nel mondo del calcio – un ambiente che già di per sé è terreno fertile per clientele e favoritismi – prosegua con la nomina nel consiglio di amministrazione del Piccolo Teatro di Milano, una delle istituzioni culturali più prestigiose e simboliche del nostro Paese, rivelando così come il nepotismo non risparmi nemmeno gli ambiti che dovrebbero rappresentare l'eccellenza e il merito. E tutto ciò mentre il Parlamento sta discutendo e approvando un decreto che aumenta di cinque milioni di euro i fondi per l'ACI, sottraendoli però a enti essenziali e strategici come la Capitaneria di Porto, simbolo di un'Italia che perde pezzi vitali per mantenere in piedi questa ingiustificabile catena di potere e interessi.

In questo contesto, l'assenza di una reazione significativa da parte dei principali protagonisti politici, dai ministri coinvolti alla stessa presidente del Consiglio, diventa essa stessa un segnale inquietante di complicità e indifferenza, perché nulla pare scalfire la corazza di un sistema che continua a favorire i propri figli e amici, mentre ignora le condizioni di chi lavora e studia con impegno. E allora, la tanto declamata "meritocrazia" si rivela per quello che è: un concetto vuoto, declinato esclusivamente come privilegio per pochi eletti, un lusso riservato a chi già dispone di nomi, cognomi e pedigree politici, con il risultato di alimentare sempre più il divario tra élite e cittadini comuni, tra chi ha accesso a ogni opportunità e chi si vede negare perfino il diritto di sognare.

Il paradosso di un Paese che si vanta di voler cambiare ma che poi perpetua gli stessi meccanismi di potere, la contraddizione tra un'Italia che fatica e un'altra che si spartisce poltrone e denaro, rappresenta una ferita aperta nel tessuto democratico e sociale della nazione, un vulnus che rischia di allargarsi fino a compromettere irreparabilmente la fiducia nella politica, nelle istituzioni e nella possibilità stessa di un progresso equo e condiviso. Se dunque si vuole davvero ridare senso al concetto di meritocrazia e restituire dignità a chi ogni giorno lotta per costruirsi un futuro migliore, è necessario non solo denunciare questi scandali ma promuovere una trasformazione profonda, culturale e istituzionale, che spezzi le catene del nepotismo e restituisca al merito e alla competenza il posto centrale che meritano in una società civile e democratica.

Fino ad allora, quello che si continuerà a vedere sarà uno spettacolo triste e desolante, nel quale figli di potenti si appropriano di risorse pubbliche e incarichi prestigiosi come se fossero diritti acquisiti, mentre la maggioranza resta relegata all'ombra, a contemplare con amarezza le distorsioni di un sistema che si è scelto di ignorare.

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