La musica nel pensiero filosofico dell’antica Grecia

01.03.2021

La nascita della filosofia e il sorgere delle teorie musicali sono stati eventi contemporanei e strettamente collegati. Durante la civiltà ellenica c'è una fase in cui tra musica e filosofia esiste un'intesa assoluta, anche perché spesso il filosofo e il musico sono la stessa persona: Pitagora, Platone, Aristotele, Filone d'Alessandria. In questo contesto non dobbiamo vedere il musico come un musicista di oggi, quanto piuttosto come teorico musicale, ovvero come colui che pone le basi ai futuri sviluppi della musica.

Nel periodo arcaico cioè dalle origini al VI secolo a.C. domina, nella Grecia Antica, una rappresentazione della musica di tipo "magico". Per gli antichi Greci, la magia era un tentativo di controllare le forze naturali che si manifestavano con violenza come tempeste, terremoti, maremoti, che l'uomo non sapeva spiegarle in altro modo.

Fu in questo periodo che nacquero i primi racconti mitologici ed ecco la nascita del potere psichico e ultraterreno della musica. Il Periodo classico (dal VI sec. al IV secolo a.C.) fu il periodo delle grandi città di Atene, Sparta e della grande fioritura dell'arte e del pensiero filosofico greco.

La musica inizia ad acquisire una funzione "catartica e divina", in un contesto filosofico ove lo stesso Pitagora (575 ca. - 490 ca. a.C.) sosteneva che "la musica è il suono prodotto dalla rotazione dei corpi celesti, avvolgendo l'intero universo e rappresenta l'armonia e l'ordine del cosmo", ecco l'armonia musicale come espressione della armonia matematica del cosmo.

Due sono gli aspetti del fenomeno musicale di Pitagora e della sua scuola:

- l'organizzazione matematica della musica;

- i riflessi sul comportamento nella vita degli uomini.

Nello studio dei fenomeni acustici i Pitagorici evidenziarono come gli intervalli fondamentali di ottava, quinta e quarta potessero essere espressi da rapporti matematici semplici (1:2, 2:3, 3:4). Inoltre essi affermavano la relazione tra la musica e l'animo umano, concetto ripreso e sviluppato da tutta la filosofia greca dei secoli seguenti, ecco la dottrina dell'Ethos, cioè le relazioni esistenti tra alcuni aspetti del linguaggio musicale e determinati stati d'animo. Ogni tipo di musica riproduce un certo stato d'animo. Pitagora univa il mondo dei numeri con la musica e quando scoprì che i diversi suoni di una scala stavano fra di loro secondo rapporti numerici matematici semplici e regolari ipotizzò che la musica fosse una "aritmetica applicata" esattamente come l'astronomia fosse una geometria applicata. Anche i pianeti e le stelle erano posti nella volta celeste con tale perfetta armonia numerica da generare una musica straordinaria, la "Musica o Armonia delle sfere". La musica, per i pitagorici, è rivelatrice dell'essenza dell'universo cioè il numero.

Più tardi, nel corso dell'evoluzione del pensiero filosofico greco, Socrate (470 o 469 - 399 a.C.) ha dedicò l'intera vita alla filosofia, cioè a quell'amore della sapienza che può nascere soltanto dalla consapevolezza della propria ignoranza e da impulso alla ricerca della verità.

L'uomo è l'oggetto del suo pensiero, la cosa più importante è l'anima cioè il livello superiore al corpo, l'anima è essenzialmente la ragione. In Grecia succede qualcosa di nuovo e cioè alcuni uomini cominciano a riflettere sul senso delle cose, dando origine al pensiero umano: la filosofia.

La musica era stata ed era ancora al centro dei riti di tutte le civiltà conosciute e continuava ad essere considerata la più completa delle arti. La "Mousikè", era l'insieme omogeneo di musica, poesia, danza e ginnastica. Per Socrate i ritmi della musica dovevano essere accuratamente scelti, ognuno appropriato alla giusta occasione. Secondo quanto Platone narra nel Fedone, Socrate ricevette più volte l'ordine di fare musica: "Più volte nella vita passata veniva a visitarmi lo stesso sogno, apparendomi ora in uno ora in altro aspetto; e sempre mi ripeteva la stessa cosa: "O Socrate, diceva, componi ed esercita musica". E io, allora, era quello che facevo". Questo dimostra che la musica diventava sempre più importante nello sviluppo dei pensieri dei filosofi.

Platone ha nei confronti della musica due posizioni:

- da un lato la considera un pilastro della realtà sia nella forma cosmica dell'armonia delle sfere sia in quella umana dell'elevazione spirituale dell'individuo;

- dall'altro la ritiene, come un potenziale elemento di disordine, cioè un prevalere della sottomissione ai piaceri sulla ricerca della virtù.

Nel dialogo di Platone, La Repubblica, la sua posizione nei confronti della musica, è estremamente complessa:

- da un lato c'è una condanna filosofica dell'arte in generale, perché tutta l'arte è imitazione della realtà è il riflesso del mondo delle idee. L'arte, quindi, essendo imitazione di un'imitazione, è lontana dalla verità;

- dall'altro c'è l'armonia delle sfere, quella di origine pitagorica, il riflesso della perfezione del cosmo, ma che non è udibile dall'uomo.

Questo concetto diploide della musica platonica viene completamente mutato dalla dottrina Aristotelica. Aristotele, infatti, sottolinea come Platone confonda la realtà con l'imitazione della realtà. Egli afferma: Platone confonde colui che zoppica con colui che imita uno zoppo. Queste sono due cose diverse, perché l'imitazione della realtà che avviene nell'arte non è la realtà in sé, dopo aver provocato nello spettatore una immedesimazione di sentimenti, alla fine lo libera da questi stessi sentimenti, quindi produce una sorta di liberazione, in quanto rafforza un sintomo per poi liberarlo. La musica ha come fine il piacere, e come tale rappresenta l'ozio, cioè qualcosa che si oppone al lavoro e all'attività. In quanto occupazione per i momenti di ozio, la musica veniva considerata da Aristotele come una disciplina "nobile e liberale". La musica è un'imitazione della realtà che suscita sentimenti, perciò è educativa in quanto l'artista può scegliere più opportunamente la verità da imitare. La musica diventa "arte educativa-catartica e nobile".

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