La ragione al servizio dei processi naturali
di Giammarco Rossi
In fondo avere una buona base teorica significherebbe essere almeno a metà dell'opera, anche più forse, sostanzialmente ciò che differenzia il genere umano da tutti gli altri apparanti viventi è proprio la ragione. Scritta, cantata, osannata e sviscerata da quando l'individuo è diventato tale, eppure la tentazione di sfidare l'esistenza senza questa sicura compagnia è davvero affascinante. Senza scomodare più di tanto Giambattista Vico, appare evidente che la comprensione porta sofferenza, sapere porta consapevolezza e quest'ultima non sempre rende le cose semplici nei percorsi naturali che collegano vita e trapasso. I processi naturali appaiono alla mente del pensante come entità satelliti astratte che influenzano l'andamento dell'agire quotidiano ma paradossalmente, la storia ne è piena, nonostante non siano strettamente collegati ai fondamenti scientifici.
Agli albori della crisi del Ventinove buona fetta della popolazione americana credeva nella natura del mercato, in sostanza non era necessario arrovellarsi le cervella più di tanto perché il ciclo naturale degli eventi avrebbe sistemato le cose, oppure le avrebbe distrutte completamente. La linea tra processi umani e quelli naturali è sottilissima: agire significherebbe intromettersi in tali processi (ammesso che esistano) ciò comporterebbe in maniera semplificata a due macro ipotesi: l'azione umana (cioè la ragione) interviene nei processi umani per correggerne il tiro o magarli modificarli profondamente, scongiurando seri problemi o magari creandoli appositamente, dall'altro lato invece, agire sui processi naturali potrebbe portare ad una modificazione del loro andamento che avrebbe potuto in solitaria sistemare le cose (quello che auspicava buona parte della popolazione Yankee).
Si faccia chiarezza, per carità! Agire non solo è importante è indispensabile. La natura, in quanto tale, non può avere la capacità di intuire cosa sia giusto o sbagliato: la natura agisce perché è la sua natura, è il suo istinto. L'uomo, la macchina perfetta apparsa nel creato ha il dono della Ragione: la usa, la modifica e soprattutto l'arricchisce quotidianamente e, grazie ad essa, riesce ad intervenire sempre (almeno si spera) in maniera puntuale e precisa per la salvaguardia non solo di sé stesso ma anche del contesto che ci ospita da migliaia di anni.
Innalziamo il discorso e poi
riabbassiamolo vertiginosamente: come si può credere nel fato? Davvero il ciclo
di ogni individuo è già scritto e sta lì, pronto per essere messo in scena?
Davvero siamo attori che recitiamo una farsa? Beh... se così fosse, tanto vale
starsene comodamente sul divano di casa ad aspettare che il ciclo naturale, che
il destino compia il suo percorso, sperando che abbia scritto un bel ruolo
anche per noi, o che perlomeno ci faccia sopravvivere. No, non può esistere
quanto appena detto. Vivere quotidianamente i processi naturali nei processi
naturali posti al servizio della ragione, questo significa esistere, vivere.
Che questo aspetto è stato colto secoli fa da Epicuro e Lucrezio fa capire come
non sia necessaria una particolare formazione per comprendere il relazionarsi
dell'individuo con sé stesso. Se la ragione è posta alla base dei processi
naturali ecco che ogni giorno diventa ricerca della propria dimensione, si
convive con quanto accade, non si sta passivamente appesi alla luna. Ci si
interroga costantemente sul proprio ruolo e in tasca guai a portare certezze.
Così il processo esistenziale si fa dinamico, si usa la forza del pensiero e
della consapevolezza contrapposta alla precarietà del mistero dei processi
naturali.
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