“La sanità che divide l’Italia: quando la malattia è lo Stato”

12.11.2025

di Mario Garofalo

E così, all'improvviso, quello che gridiamo da anni dalle strade, dai giornali, dalle radio di chi non ha padrini né padroni, diventa chiaro pure ai sordi.

Oggi si scopre che anche al Nord, là dove i treni arrivano in orario e gli ospedali brillano di acciaio e tecnologia, la sanità pubblica comincia a perdere colpi. Lo dice pure il presidente dell'Emilia-Romagna, e persino Fontana, quello della Lombardia, ci mette la firma.
E noi dal Sud, da questa terra di confine tra la dignità e la rassegnazione, non possiamo che sorridere amaro.

Perché lo diciamo da una vita: il sistema è malato, e la febbre parte da Roma in giù ma arriva dappertutto. Ci hanno raccontato che il federalismo era libertà, che l'autonomia era giustizia, ma era solo un modo elegante per dire: "arrangiatevi".
Così oggi ci ritroviamo con un'Italia che cura chi è nato al Nord e dimentica chi nasce al Sud.
Perché la salute, che dovrebbe essere un diritto, è diventata un lusso.
E chi non se lo può permettere, emigra pure per un'operazione al cuore.

La chiamano "mobilità sanitaria", ma di fatto è un esodo.
Un popolo che viaggia con la cartella clinica in mano, costretto a cercare altrove ciò che gli spetterebbe di diritto a casa sua. E intanto, mentre i cittadini si spostano, le Regioni fanno i conti: chi incassa, chi perde. Come se la vita delle persone fosse una voce di bilancio, una partita doppia.

E allora, la verità è semplice e brucia: il Sud è stato derubato due volte.
La prima, quando gli hanno tolto i fondi, le fabbriche, le scuole, gli ospedali.
La seconda, quando gli hanno tolto pure la voce, spacciando il suo silenzio per pigrizia, per fatalismo, per arretratezza.
Ma il Sud non è arretrato, è derubato. E chi lo deruba veste giacca e cravatta, parla di "riforme" e "autonomie", e intanto costruisce muri invisibili più alti di qualsiasi confine.

Vincenzo De Luca, che uno può pensare quel che vuole, almeno una cosa l'ha fatta: ha detto "basta". Ha portato in tribunale lo Stato, e lo Stato ha dovuto ammettere di aver barato.
Perché i soldi della sanità non si distribuiscono secondo il bisogno, ma secondo il potere.
E il potere, in questo Paese, ha sempre guardato a Nord.

Ma attenzione, perché il silenzio del Sud non è eterno. Quando una madre non trova un pediatra per suo figlio, quando un anziano muore in barella, quando un giovane deve emigrare anche per curarsi, quella non è rassegnazione: è rabbia che cresce.
E la rabbia, quando esplode, non la fermi con le leggi speciali o con i manganelli.
Perché la fame di giustizia non si reprime, si ascolta.

L'Italia si sta spaccando di nuovo, e questa volta non serviranno eserciti per tenerla unita.
Servirà coraggio. Il coraggio di dire che un Paese che cura solo metà dei suoi cittadini non è un Paese, ma una vergogna nazionale. Servirà onestà, quella vera, che non si compra con una poltrona né con un titolo di giornale. E servirà la voce di chi non ha più nulla da perdere, perché solo chi ha perso tutto può parlare con libertà.

Peppino diceva: "Loro si nutrono del nostro silenzio. Ma se un giorno noi parliamo, muoiono di vergogna".

Ecco, quel giorno deve arrivare.
Perché la sanità non può essere un privilegio, la salute non può essere una fortuna, e l'Italia non può essere una lotteria. O ci salviamo tutti, o non si salva nessuno.

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