La scuola che vorrei? Mi piace immaginarla come un’officina di intelligenze, di saperi e competenze
di Anna Paolella
Solitamente quando un argomento è il focus principale di conversazione significa che è importante e che desta l'attenzione della maggior parte delle persone. Questo accade soprattutto per la scuola. Nel nostro paese, infatti, è da sempre al centro del dibattito culturale e politico, sia quando si parla di riforme, sia quando si entra nella quotidianità della didattica spicciola, sia che si parli di percorsi formativi e di orientamento, sia di valutazione degli allievi. E nei discorsi spiccioli, purtroppo, la scuola risulta sempre anacronistica rispetto al tempo che si vive, alle aspettative dei singoli, della comunità e delle istituzioni. E in base al tempo storico la sua funzione cambia, dall'istruire le nuove generazioni con contenuti e informazioni a carattere nozionistico, al formare gli uomini e i cittadini del tempo presente e del futuro.
L'unica costante è l'atteggiamento di critica a priori rispetto all'istituzione e al suo modello curriculare poco rispondente, secondo le opinioni popolari e i luoghi comuni, ai bisogni reali dei ragazzi e del mondo contemporaneo. Diciamo che la scuola è sempre indietro, non recepisce le istanze sociali e non sa adattarsi ai mutamenti continui del mondo che abitiamo. Mi piace, però, ricordare che già nel 1914, oltre un secolo fa, Giovanni Papini, scrittore ed intellettuale ai più noto con lo pseudonimo di Gianfalco, lanciava una provocazione dissacrante: "Chiudiamo le scuole!". Il suo appello si fondava su una consapevolezza, nel 1914, non nel 2024, che "[…] la scuola, essendo per sua necessità formale e tradizionalista, ha contribuito spessissimo a pietrificare il sapere e a ritardare con testardi ostruzionismi le più urgenti rivoluzioni e riforme intellettuali".
Nel corso dei decenni, le posizioni, progressiste e conservatrici, si sono alternate in funzione dei governi, dell'economia, delle mode e perfino delle opinioni degli avventori nei bar che poco o nulla sanno dei processi di apprendimento e dei percorsi di formazione. Da sempre c'è chi vuole che il tempo scolastico si cristallizzi nella trasmissione di un prodotto culturale che, ex cathedra, passi di generazione in generazione come contenuto stabile e immutato e chi, al contrario, vede nella scuola la possibilità di crescita e di formazione continua e completa. Quest'ultima posizione si muove verso una dimensione olistica del sistema scolastico, in cui poco contano le performance ma sia centrale il processo per raggiungere l'abilità di autodeterminarsi da parte di ogni allievo. Su queste posizioni si potrebbe fare un lungo excursus storico, lo stesso che caratterizza i cambiamenti del sistema scolastico italiano.Nel 1949 in uno scritto pubblicato a Lanciano in autonomia da A. Dispenza, (scritto saggiamente riportato alla luce dal Linguista G. Patota in questi giorni) la denuncia è feroce verso un sistema scuola troppo buonista, troppo commisurato alle esigenze dell'alunno.
In molti, soprattutto tra il personale scolastico, sicuramente, oggi reclamano tale impostazione rigorosa per cui, come in un proporzione o equazione matematica, se "vali" (e per "vali" si intende la corrispondenza numerica di un volto alto ad una performance scolastica) vai avanti, altrimenti la scuola ha il dovere di fermarti e di consigliarti altri percorsi di formazione e di vita. Ad Einstein, studente contestatore che imparò a leggere tardissimo perché dislessico, oggi verrebbe consigliato di intraprendere un corso di qualifica professionale e magari ce lo ritroveremmo a fare il meccanico e non lo scienziato. Non che il mestiere di meccanico sia svilente, al contrario va benissimo se frutto di una scelta consapevole, basata su una formazione rispondente alle aspettative e ai desideri del singolo.
Nel mio percorso di studi ho avuto la fortuna di incontrare grandi insegnanti, che prima di essere tali erano soprattutto grandi persone, che mi hanno accompagnato nella costruzione di un metodo di studio valido ed efficace, piuttosto che nell'esercizio e nel rafforzamento delle mie quasi inesistenti abilità mnemoniche. Sarebbe utile e produttivo riflettere proprio sul metodo e sugli strumenti culturali e concettuali funzionali alla crescita delle persone in quanto tali e in quanto cittadini socialmente ed economicamente impegnati. Cresson ne faceva un manifesto intellettuale e sociale già nel 1995, nel Libro Bianco Insegnare ed apprendere, "In una società in cui l'individuo dovrà essere in grado di comprendere situazioni complesse che evolvono in modo imprevedibile, in cui dovrà affrontare un cumulo di informazioni di ogni genere, esiste un rischio di separazione fra coloro che possono interpretare, coloro che possono solo utilizzare e coloro che non possono fare né l'una né l'altra cosa. In altri termini, tra coloro che sanno e coloro che non sanno".
Ed è così, la differenza la fa proprio la cultura, il possesso degli strumenti culturali che consentono di comprendere i messaggi, analizzarli e rispondere in modo adeguato alle situazioni, sia verbalmente sia con le azioni.
È la cultura che consente di partecipare attivamente anche ai processi decisionali della società, una cultura che non si misura e non si quantifica solo con un numero. Per questo la scuola ha ancora la funzione essenziale di promuovere e sviluppare competenze e abilità che consentano a tutti di cogliere il significato delle cose, di abbattere l'analfabetismo funzionale che è sempre più presente e rende la maggior parte delle persone succubi di informazioni di seconda o terza mano e, molto più spesso, di fake news. La scuola è anche un presidio importante di umanità, forse l'ultimo, che non può esimersi dal fare entrare ed accogliere i nuovi paradigmi formativi e nuovi modelli di formazione e di valutazione che tengano conto soprattutto del processo oltre che del risultato. Ci ostiniamo a non voler guardare ciò che ci scorre accanto, il tempo, l'evoluzione tecnologica, i cambiamenti sociali, e nel farlo, mentre restiamo fermi, tutto questo ci investe, ci travolge e comunque ci cambia.
La scuola che vorrei? Mi piace immaginarla come un'officina di intelligenze, di saperi e competenze, un luogo, fisico e mentale, di sperimentazione e di costruzione condivisa e negoziata della conoscenza, di esercizio della consapevolezza dell'intelletto e della sensibilità umana. Un luogo che dà i mezzi per costruire e raggiungere ogni meta possibile con l'aiuto di persone qualificate e accoglienti, capaci di mettere in atto metodologie alternative in funzione dei diversi talenti e bisogni di apprendimento. Sulla porta, per l'ingresso e per l'uscita, scriverei questa frase:" tratto t'ho qui con ingegno e con arte, lo tuo piacere omai prendi per duce" (Dante, Purgatorio, Canto XXXVII).
