La storia intima di Marco Gizzi

25.05.2021

di Rocco Zani

C'è un quadro di piccole dimensioni che sembra sostare - come una sorta di metafisico guardiano - ai margini di un luogo d'ombra dove la luce è stabilita da crepuscoli di biacca o dall'intransigente monopolio del cadmio. Nello studio di Marco Gizzi ogni oggetto è sospeso - finanche l'anima -, taciuto, rintanato tra prospettive di "nascondimenti e clausure". Eppure ognuno di essi è tutelato come figliolanza dissidente o come esempio di un inedito divenire. C'è da chiedersi davvero dove inizi la "responsabilità" del pittore e quanto questa sia sopraffatta, invasa, inseguita da una genìa solo in apparenza meno palese: quella dell'architetto, del contadino, del cospiratore, dell'osservatore ozioso. Perché nella storia di Gizzi la narrazione procede per cauti intenti, mai slegati o arrendevoli: il gesto è pittura come lo è la paziente alterazione della natura o l'invadenza delle ore e degli anni, come lo è lo sguardo fuori dagli argini. Nulla si consuma in modo separato. E la tela - da sola - non è l'attracco di ogni presunta supposizione, del ripensamento, dell'ascolto. Tutto ha inizio - e si consuma anche - per tracce preventive fatte di conciliazione con la memoria, di rocamboleschi indizi, di soste pazienti, di costellate adunanze. Ecco, direi che ogni millesimale sostanza - finanche l'anima - concorre alla precisazione risolutiva e la rappresentazione altro non è che il naturale alveo di contaminati sensi. Nel quadro di piccole dimensioni - una preziosa natura morta che dà accoglienza al visitatore al pari di un consolante padrone di casa - Marco Gizzi sembra riordinare, per magiche traiettorie, una vera e propria "nomenclatura" di presenze: epifaniche, affettive, visionarie, pragmatiche. Come se ogni oggetto dipinto fosse coordinata ineccepibile - e veggente - di un mirabolante cammino. La storia intima - la propria Storia - soggiorna allora in queste ordinate stazioni di sosta laddove il tempo si piega allo sguardo o ai venti malevoli che sobillano l'umore. Di questa piccola opera Gizzi fa l'approdo percepibile dello sguardo e del dialogo; il filo rosso di una conversazione tra la responsabilità dell'oggetto e il pensiero visivo di arganiana memoria. In essa abitano - o coabitano - le impronte di una indagine a spirale, rigenerante, progressiva, come se nella disposizione scrupolosa delle "presenze" Gizzi rielaborasse un inesauribile intento di tutela. Della sua storia. E della nostra, naturalmente.

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